ESTATE 1963
Saveria Gattini
Non era cominciata bene quell'estate, pioveva spesso e mia sorella era stata rimandata a settembre. In matematica ovviamente. Per tutto l'inverno papà l'aveva rimproverata , non è possibile che tu non ci capisca niente e sei solo in prima media, eppure sei intelligente, allora lo fai apposta. Compunta e imbronciata lei teneva gli occhi fissi sul pavimento ma ogni tanto le sfuggiva una piccola smorfia, un risolino complice rivolto solo a me, seduta sul tappeto con i miei pastelli a cera e le costruzioni.
Io non sapevo bene cosa fosse la matematica, qualcosa con i numeri che sono tantissimi, per ora avevo imparato a contare fino a cento, e due più due fa quattro che poi è anche un proverbio per dire che una cosa è facile e tutti dovrebbero saperla. Ma fra qualche mese anche io sarei andata a scuola e avrei studiato la matematica e la storia e la geografia, due materie dal nome affascinante, amavo le storie e adoravo sfogliare l'atlante ingiallito e scompaginato della nonna.
E soprattutto avrei imparato a leggere. Mia sorella mi aveva già insegnato ma solo lo stampatello, quell'altra scrittura dei libri mi confondeva, anche se quel giorno in biblioteca avevo barato un po', so leggere, vorrei un libro in prestito. Ma la bibliotecaria piccola e arcigna aveva stretto ancora di più le labbra e aveva decretato: NO. In biblioteca si viene solo quando si è iscritti in prima elementare. Vedendo i miei occhi pieni di lacrime di rabbia e di delusione mia sorella aveva insistito, ha compiuto sei anni, sa leggere.
Per solidarietà lei quel giorno aveva rinunciato ai libri e giocato con me a nascondino.
L'estate era cominciata male dunque ma poi le rabbie e le delusioni si diluirono nel caldo delle giornate di luglio e furono del tutto cancellate dall'eccitazione per la patente di papà e l'acquisto della nostra prima automobile, una ErreQuattro azzurro chiaro detta Canarona . Con quella ad agosto saremmo andati in montagna, sulle Alpi Apuane.
Fu allora che vidi il mare per la prima volta.
In montagna c'ero già stata due anni prima con la mamma e mio fratello che allora sapeva appena camminare, erano le Alpi vere quelle, le Dolomiti. Papà era rimasto a Firenze a lavorare, mia sorella chissà, in campagna da un'amica o al mare da quella sua vecchia tata che a malapena conoscevo e un poco le invidiavo, non avevo mai avuto una tata io, quando ero nata la mamma non lavorava più.
Il viaggio lungo, in treno, di notte. Al mattino qualcuno era venuto a prenderci con l'auto e ci aveva portati ad un albergo sopra a un lago. Le passeggiate, grandi boschi con alberi mai visti, una segheria con il suo profumo di legno appena tagliato, un doloroso orzaiolo che qualcuno suggerì di bucare ma per fortuna la mamma trovò la proposta assurda e lo curò come sempre con impacchi di acqua calda e una qualche sostanza di farmacia dall'odore dolciastro e pungente.
Un bambino un po' più grande mi aveva rincorso con una foglia di ortica in mano, la teneva per il picciolo e gridava non brucia più quando è staccata, l'ha detto mio padre che sa tutto. Ma io non ci credevo e correvo, provala su di te se ne sei così sicuro. Mi raggiunse e la foglia strusciata sulla guancia provocò il consueto familiare bruciore, comparve una piccola bolla che pizzicò fino a sera, e anche il bambino ne aveva una sulla mano, mai fidarsi ciecamente degli adulti.
Mi dondolavo a lungo sull'amaca e sull'altalena, vicino a me la mamma lavorava a maglia una lana leggermente pelosa
color viola melanzana, ne era venuto fuori un maglione grande e caldo che indossava solo nei pochi giorni di gran gelo, oggi metterò il golf di Masarè diceva. Viola melanzana, per sempre il colore di quel lago e di quelle montagne.
Quell'anno invece partimmo tutti, papà, la mamma, io, mia sorella, mio fratello, tutti dentro la nostra Canarona azzurro chiaro, la nostra prima macchina. Andiamo in montagna ma è vicino al mare andremo a fare il bagno vedrete come è bello molto più bello della piscina diceva papà. La mamma storceva un po' il naso, non amava il mare, non sapeva nuotare e il sole le bruciava quella che orgogliosamente definiva la sua delicata pelle da rossa. Alla mamma non piaceva nemmeno il pesce, a me invece piaceva molto proprio come a papà anche se lo avevo mangiato poche volte cucinato dalla nonna, e mi sarebbe piaciuto anche il mare.
Usciti dall'autostrada dopo un po' cominciammo a salire, alla fine la strada era stretta , la macchina camminava quasi rasente alla montagna e dall'altro lato c'era una specie di precipizio, ed io con un brivido pensai quando torniamo giù ci dovremo passare proprio accanto.
Comparve il cartello Stazzema, da queste parti durante la guerra è successo qualcosa di molto brutto, un intero paese ucciso dai tedeschi, raccontò papà. Anche i bambini? Sì.
Ritrovai un'amaca e un'altalena e boschi e una segheria odorosa di legno fresco, facevamo molte passeggiate e ci divertivamo. Il giorno del mare però non arrivava mai, era un'estate incerta con improvvisi nuvoloni e grossi temporali, una notte andò via la luce e la valle nera risuonava di tuoni minacciosi e io avevo un po' paura ma accesero candele per tutta la casa e poi mi addormentai.
E poi una mattina papà e mamma ci svegliarono tutti allegri, avevano comprato dei cappelli di paglia, si partiva. Come avevo immaginato la strada in discesa era veramente impressionante ma cominciai a cantare a squarciagola sul mare luccica astro d'argento, ero stonatissima e papà anche, gli altri si tappavano le orecchie inorriditi e la paura fu dimenticata.
Finalmente entrammo in paese, famiglie cariche di salvagenti, palloni, canotti, borsoni di tela, tutti si dirigevano verso il mare. Arrivati alla spiaggia papà e mamma entrarono in una cabina per mettersi il costume, noi invece lo avevamo già addosso, bastava togliere maglietta e pantaloncini. Mio fratello cominciò a strillare perchè la sabbia gli entrava nelle scarpe di tela, se le tolse e continuò a strillare perché gli bruciava i piedi. Un po' bruciava davvero ma bastava saltellare e passava e anche lui si mise saltare urlando divertito. Mia sorella faceva la superiore, lei al mare c'era già stata da quella sua tata e era tornata abbronzatissima e mio fratello tutto serio le aveva chiesto perché non si era lavata.
Cominciai a scavare una buca, qualcuno mi aveva detto che presto avrei trovato l'acqua ma mia sorella mi disse che eravamo troppo lontani dal mare e avrei dovuto scavare fino a sera. Sospettavo che lo dicesse per far vedere che era esperta e rovinarmi il divertimento e continuai a scavare e allora anche lei si mise a scavare con me. Ma ecco che papà e mamma uscivano dalla cabina, lui a piedi nudi, lei con il cappellone di paglia e delle ciabattine bianche con una margherita. Potevamo andare.
La spiaggia era lunga e proprio in fondo si vedeva luccicare qualcosa e poi cominciava il cielo. Pian piano quel luccicare lontano diventò più grande, più azzurro, di un azzurro diverso. E arrivammo lì dove la sabbia era un po' bagnata e non bruciava più, mio fratello si mise a correre strillando di gioia, ma si bloccò di colpo quando le onde cominciarono a lambirgli i piedi e papà gli urlò di stare attento.
Io non correvo, guardavo affascinata quella enorme distesa di acqua, diversa da ogni cosa che avevo visto fino a quel momento, diversa dal fiume verdastro e pieno di alghe in cui avevo fatto il bagno qualche volta da piccola prima che fosse proibito, diversa dal lago di Masarè, diversa dalla piscina dove ogni estate ci portava papà.
Quello era il mare, non aveva muretti, non aveva barriere, non aveva limiti. Andava e veniva, si fermava ora in un punto ora in un altro, più avanti, più indietro, imprevedibile, senza obbedire ad alcun ordine, come se scegliesse di volta in volta seguendo un improvviso capriccio. Libero.
Pensai per un attimo che avrebbe potuto arrivare fino a noi e travolgerci ma non avevo paura. Ci avrebbe portati via con sé lontano, delicatamente, facendoci danzare sulle onde come quel pallone colorato scappato dalle mani di un bambino. O forse prenderà solo me pensavo, e dalla riva mi chiameranno e io li saluterò con la mano, non preoccupatevi, prima o poi tornerò ma ora devo proprio andare, ciao.
Avevo chiuso gli occhi e quando li riaprii per un attimo non vidi più nessuno e non sapevo se essere contenta o no, un piccolo nodo mi stringeva la gola. Ma eccoli, mia sorella era già in acqua con mio fratello, papà stava spalmando la crema sulle spalle della mamma e mi chiamò per darmi il salvagente di plastica arancione a forma di anatra. Andai verso di loro camminando piano.
Ancora non era il momento di partire.
Ottimo!!
· Il y a plus de 10 ans ·Gabriele Poli