I cacciatori del tempo
Lena Da Da
Rita faceva parte di una specie rara di persone, non direi in via di estinzione, ma in parallelo delle altre specie possibile, vivendo all'orizzonte della realtà.
Si riconosce subito un cacciatore del tempo. Quando ti parla per la prima volta sembra svanito nei suoi ricordi e ti coinvolge con se. Allora cominci a rivangare nel passato, come se vi foste già incontrati, avendo caminato insieme un pezzo di vita. Avendo impressioni comuni dell'affinità cresciuta qualche parte nel tempo.
Come se il tempo potesse nascondersi da noi, abbondonarci nel buio ed andare via in fretta, senza darci una possibillità di raggiungerlo. Se ne va da qualche parte, portando via un po di noi stessi; un pensiero, un ricordo, un rimpianto o speranza…tante cose che scappano via e poi, come catturate crescono da sole, sviluppandosi a parte, tuttavia un po di noi stessi.
Come dalla nascita, fossimo già spezzati, e la vita consisterebbe allora nel ritrovare tutti i pezzi mancanti. Era così, come si definiva Rita; una assoluta mancanza, come fondamento del suo essere. E cosi per tutti i cacciatori, una volta che il vuoto deventa maturo, partano alla ricerca.
Rita era piccolina, fragile, assomigliava ad una foglietta di betulla. Camminava come cadeva la foglia; in calma, sembrava morire in pace, felice, come muore l'autunno prima dell'inverno.
Era in inverno che ho conosciuto Rita per la prima volta. Stavamo per attraversare la foresta nevosa, bianca da fare male agli occhi. Rita immaginava il nostro incontro in Ukraina e quando me lo raccontava, mi pareva tutto vero, era cosi che me lo ricordavo anch'io.
Su questo campo dove camminavamo insieme avevamo dei nomi diversi e non so dove andavamo o quale fossero le prime parole scambiate tra noi. Lasciavamo impronte sulla neve, come scrivendo la nostra storia. Non so se fosse tutto vero, non è importante, domani andro in un luogo nuovo e avro un nome diverso, anche tu. L'unica cosa che rimarrà è il tempo sotterato sotto la neve, con le nostre tracce.
L'inverno non era ancora arrivato. Dalla finestra cadevano le foglie. Ancora due giorni fa tutti gli alberi di Praga erano colorati, adesso le ultime goccioline dell'autunno coprono il nostro pavimento. Rita beveva il tè e dimenticava tutto poco a poco. Era tanto magra che da un momento all'altro sarebbe sparita con il fumo del suo tabacco. Come se il suo creatore la sesse cancellando dal quadro,e lei l'accetava tranquilla, bevendo il suo tè. Mi ricordo di Rita sempre in imponderabilita, una specie di stato d'anima orribile ed affascinante allo stesso tempo. Quando i pensieri si soffocano nel corpo, si perdono nella confusione e quando il grido stesso si impicca alle corde vocali.Quando un pensiero pesa piu di te stesso, quando un'emozione ti dà la febbre e ti inchiode al letto, quando sei quasi sul punto di una crisi d'epilessia perché i nervi sono tesi come i fili elettrici, e proprio ogni sera hai paura di morire perché o tutto è troppo bello o troppo triste.
Tutta la settimana durante il malessere di Rita siamo rimaste a casa, slutando le foglie. Mi ha questo se io avessi la possibiltà di parlare con uno dei miei eroi defunti, chi sarebbe ? Credo purtroppo che non esista un dialogo sincero, e quindi le piu belle cose si dicono nel tempo e hanno bisogno di tempo. Come un messaggero che rimane zitto fino ad un momento giusto. Forse ci vogliono tanti anni per trovare un destinatario, qualcuno che puo sentirci.
Rita aveva la sindrome di Stendhal. La vedevo piangere nel cuscino perché leggeva troppo i giornali di Kafka. Perdeva la coscienza davanti ai quadri di Van Gogh, sentiva la nausea perché non riusciva mai a subire tutto. L'ultima volta è scappata dal cinema perché se fosse rimasta fino alla fine sarebbe morta con Accattone.
I cacciatori del tempo hanno spesso questa sindrome, perché hanno sotterato qualcosa, sotto la neve, sotto la terra o dentro di sé. Ma sono preziosi ricettori attesissimi dal tempo-stesso. Anche se non sono pronti ad accoglierlo, lo fanno comunque. Come diventati impiegati, capaci solo da vedere quell'unica realtà dell'altro lado dell'orizzonte. Questo incontro, paragonabile ad una infezione virale, che anche se invisibile, paralizza l'organismo intero. Direi che il tempo sarebbe questo virus metafisico che contagia le anime sensibile e suscita una malatia incurabile. Non si puo piu tornare dietro, si puo solo fare finta di pronunciare le parole e di sforzarsi a crederle. Pero tutto perde il senso nel giro dell'orizzonte. L'inadattabilità alla vita li constringe a fuggire di nuovo, questa volta portando con sé, sé-stesso.
Rita stava al letto e mi parlava del campo. Si ricordava che in estate, lo stesso luogo è coperto dalle camomille. Erano grandi grandi, ci si poteva nascondersi sotto, se ci si stendeva sulla terra. Eravamo li, noi due ad immaginare le cose e non sapevamo che in stesso momento un pittore dipingeva il campo. Dolce vento agitava le fiore e bisbigliava al pittore le nostre fantasie.
Me lo ricordo bene, era così.