Responsabilità individuale
Gianni Vannini
Una caratteristica dei nostri tempi (paradossalmente, visto che viviamo nell'era dell'individualismo più sfrenato e più competitivo) è la tendenza a massificare, a sottopporre cioè la quasi totalità degli eventi che fanno parte della sfera pubblica a criteri il più possibile "oggettivi" e il meno possibile discrezionali. Facciamo alcuni esempi: quando il corpo insegnante è chiamato a dare un giudizio sul rendimento degli studenti si tende sempre di più a equiparare questo giudizio alla somma di parametri quasi automatici (i cosiddetti crediti formativi, le famigerate "prove invalsi" ecc.) piuttosto che alla formulazione di un parere soggettivo. L'eccessivo coinvolgimento dei genitori dell'alunno, poi, fornisce loro un potere di controllo e di contestazione del giudizio che non contribuisce certo alla serenità del docente. Altre vittime eccellenti di questa tendenza a una malintesa "obiettività" sono senza dubbio i medici, il cui potere discrezionale di diagnosi e conseguente scelta della terapia è fortemente limitato dai rigidi protocolli sanitari e dall'abuso di terapie massificate, di cui le vaccinazioni obbligatorie rappresentano la punta dell'iceberg. La possibilità di staccarsi da questi protocolli è resa ancora più ardua dal proliferare di procedimenti giudiziari e richieste di risarcimento danni da parte di vittime e parenti delle vittime della cosiddetta "malasanità" (gli ospedali pullulano di galoppini degli studi legali pronti ad approfittare della tragedia come avvoltoi). Queste azioni legali, però, lungi dal proteggere i più deboli, cioè i malati, dall'ingiustizia e dal cattivo funzionamento delle istituzioni sanitarie, finiscono per colpire solo il singolo operatore che ha avuto l'ardire di prendere un'iniziativa autonoma invece di attenersi alle procedure standardizzate. Alla resa dei conti non c'è da stupirsi che insegnanti, sanitari e tutti coloro che ricoprono un ruolo delicato nella nostra società siano ben lieti di adeguarsi a un ruolo che è più simile a quello di un passacarte che a quello di un onorato professionista. Mi sembra evidente la necessità di ridare alle persone, e in particolare a chi svolge una professione qualificata, il diritto a sbagliare. Solo chi sente tutelato il suo diritto a sbagliare può serenamente assumersi le responsabilità che sono assolutamente necessarie per svolgere il proprio compito con diligenza e con passione. Personalmente, come individuo, mi sentirei molto più tranquillo se la mia salute fosse in mano a un medico coraggioso e competente e se i miei figli e i miei nipoti si formassero con degli insegnanti degni di questo nome.