Devi uccidere Abel Smith

Dario Landi

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«Un errore? Impossibile»

«Le dico di si»

«L'abbinamento esecutore-eccedenza sociale funziona da trent'anni»

«E' la settimana delle eliminazioni. Tante morti. qualcuno avrà fatto confusione»

«Non si chiamano morti»

«Decessi»

«Neanche»

«Mi scusi. Come allora?»

«Esattamente “Atti popolari per il controllo demografico”»

«Bene. Negli “Atti popolari per il controllo demografico” c'è un errore»

«Impossibile»

«Signorina, mi avete ordinato di uccidere…»

«Eseguire»

«…di eseguire il signor Abel Smith.»

«E allora?»

«Abel Smith sono io!»

«Omonimia forse?»

«E' quello che dico.»

«Aspetti qui, vado a controllare»

Abel Smith si tolse gli spessi occhiali dal naso adunco e pulì le lenti. L'impiegata tornò.

«Signor Smith…»

«Si?»

«Non ci sono altri Abel Smith in questa contea»

«Dunque?»

«Dunque non c'è stato nessuno errore»

«Si rende conto che non è possibile vero?»

L'impiegata allargò le braccia e scosse la testa.

«Ha controllato gli Adel Smith? Ariel Smith? Atel Smith?»

«Il processore di eliminazioni non commette errori»

«E cosa dovrei fare secondo lei?»

«Le segno quest'indirizzo.» L'impiegata scrisse qualcosa su un foglio e glielo passò.

«Di che si tratta?»

«Questa persona si occuperà del suo caso. Arrivederci»

Incredulo Abel Smith rimase a fissare la sedia vuota davanti a lui, poi si alzò ed uscì.

Senza attendere oltre si recò all'indirizzo.


«Lei ha figli?»

«No»

«Moglie?»

«Neanche. Ma che c'entra?»

«Devo essere informato sulla sua situazione. Per non commettere errori

La pendola oltre la grande scrivania d'acciaio oscillava ossessivamente segnando cinque minuti alle cinque.

«Mi faccia leggere il messaggio»

Abel Smith si tolse di tasca l'ordine di eliminazione e lo porse al grasso dottore. Oltre la sua mole imponente la pendola scattò di un minuto continuando a oscillare.

Il dottore squadrò per un attimo il foglio.

«Devi uccidere Abel Smith»

«Così dice»

Abel commentò continuando a fissare il pendolo spostarsi da destra a sinistra e sinistra a destra. Tre minuti alle cinque.

«Cosa ne pensa?»

«Di che cosa?»

«Del fatto che debba uccidere Abel Smith»

«Debba?»

«Devi. Devi uccidere Abel Smith». Due alle cinque.

«E' un errore?»

«E' un errore, Abel Smith?»

«Non so»

«I suoi figli che ne pensano di “Devi uccidere Abel Smith”?»

«Io non ho figli»

«E sua moglie che ne pensa di “Devi uccidere Abel Smith”?»

«Io non ho moglie» Un minuto alle cinque.

«Dunque lei è solo Abel Smith?»

«Solo. Abel Smith è solo»

La pendola adesso oscillava lenta. Attraverso le spesse lenti gli occhi di Abel Smith la seguivano senza posa.

«Si ricordi cosa dice il messaggio: “Devi uccidere Abel Smith»

Cinque rintocchi echeggiarono nella stanza. Le cinque.

Abel Smith si riscosse.

«Bene signor Smith. Per oggi abbiamo concluso. Torni domani alla stessa ora.» il dottore gli tese una mano grassoccia.

«Arrivederci dottore. A domani»

Abel Smith aprì il portone, salì le scale buie, dai muri sporchi.

Davanti alla porta di casa trovò un pacco. Lo raccolse ed entrò.

Quando gli era arrivato il messaggio stava pranzando. Era andato di corsa agli uffici, e il suo piatto era ancora sul tavolo, sporco di avanzi ingialliti. Il vento soffiò dalla finestra scordata aperta. Due ciotole vuote sotto di essa spiegavano che un altro gatto era fuggito non appena ricevute le prime cure.

Abel Smith portò le stoviglie nell'acquaio, le lavò, e tornò in cucina.

Si sedette al tavolo e aprì il pacco.

Dentro c'era una pistola. Ed un foglio ripiegato.

Con sorpresa, si rigirò la pistola fra le mani. Ricontrollò l'indirizzo. Nessun errore. Era per lui.

Aprì il foglio.

Sopra c'era scritto “Devi uccidere Abel Smith”.

Qualcosa cadde sulla carta e la macchiò. Era una lacrima. Senza accorgersene Abel Smith stava piangendo.

Si guardò attorno.

Il piatto ad asciugare sul lavabo, le ciotole abbandonate, la poltrona lisa piazzata davanti al televisore.

Abel Smith prese la pistola, se la cacciò in bocca e sparò

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