Dieci Saggi Cinici (Visione Popolare del Mondo) — Prima parte

Chris Myrski

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Questo è un libro filosofico, ma esso è popolare e senza termini speciali, così che è accessibile a tutti. In una certa misura il cinismo è una visione del mondo che non predica una morale (anche al contrario) e non idealizza le cose, ma, nonostante questo, dà uno sguardo serio al mondo. A mio avviso esso deve essere interessante per tutti i giovani (e anche per i più grandi), ma tuttavia questo non è una lettura di intrattenimento. L'ordine di tutti i saggi, che qui sono divisi in 2 parti, non è obbligatorio, ma è preferibile. Non affrettarvi, tuttavia, a leggere tutto in una volta perché potreste perdere subito la gioia di vivere, quando lo capirete bene; questo è nel senso che meno uno capisce la vita, più essa gli sembra interessante e più felice egli la vive; o che l'ingenuità e l'inesperienza hanno i loro vantaggi.

 

!! prima parte

 

DIECI  SAGGI  CINICI

(Visione Popolare del Mondo)

Parte Prima

 

[ Trattandosi qui di un libro intero, io vi darò un'idea della sua copertina.

  Sulla parte anteriore: un'immagine in cui è raffigurata la botte di Diogene (sebbene essa sembra piuttosto una grossa giara con coperchio), inclinata un po' in avanti in una piccola fossa nel terreno sabbioso, davanti con il coperchio spostato di lato, dove dalla sua apertura sporgono una testa barbuta e una mano, da parte si alza (una parte di) un grande olivo e sul terreno sabbioso intorno si vedono olive cadute, la mano tesa tiene un'oliva, nell'angolo in alto a destra si vede un sole splendente, e in lontananza brilla il mare. Il tutto è circondato sopra e sotto da ornamenti greci stilizzati e questa immagine è posizionata nella parte inferiore della copertina anteriore. Sopra è scritto il titolo e l'autore su sfondo rosso-viola (o arancione).

  Sulla parte posteriore: niente tranne lo sfondo chiaro della parte anteriore (ma, se necessario, può essere messa una pubblicità della Coca-Cola, o delle sigarette Camel, o lo striscione americano — a seconda di chi paga di più). ]

 

Copyright  Chris MYRSKI,  2000

 

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CONTENUTO

 

Nella prima parte:

Prefazione

Sulla creazione e il creato

Sulla donna e sull'uomo

Sull'umanità

Sull'intelletto

Sulla religione

 

Nella seconda parte:

Sulla democrazia

Sulla violenza

Sulla giustizia

Sulla popolazione

Sul futuro

Appendice: Costituzione di Ciniclandia

 

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PREFAZIONE

 

Questo è un libro filosofico, il che significa che esso è una lettura seria, non per addormentarsi, anche se, sicuramente, alcuni di voi potrebbero usarlo anche per quello scopo, perché per molti lettori esso potrebbe davvero avere un effetto sonnolento. Ma qui voi non troverete citazioni e critiche di correnti filosofiche esistenti, nessuna terminologia sconosciuta al grande pubblico, il che significa che esso è anche un libro popolare. Esso è massimamente spregiudicato, a differenza di molti libri filosofici che, malgrado la loro pretesa di essere universali e onnicomprensivi, sono almeno tendenziosi, perché i loro autori si sentono obbligati a difendere gli interessi di qualcuno. Oltre a ciò, nel loro desiderio di essere esatti e non contraddittori, loro sono costretti, o ad escludere le contraddizioni dai libri, partendo da alcuni assunzioni di base, ma in questo modo delimitano inevitabilmente l'oggetto di indagine e mostrano le cose in modo unilaterale, oppure rischiano di essere esposti ad attacchi di inesattezza e di metafisica. In altre parole, la filosofia, più delle altre scienze, soffre del problema della decomposizione del mondo reale infinitamente complesso e interconnesso (e qui la parola “infinitamente” non può essere sostituita con “molto”, perché essa è qualcosa di più che “il più”), ma se un processo naturale non viene scomposto esso non può essere osservato con sufficiente precisione, tanto che qui si tratta di una sofferenza inevitabile (qualcosa come i dolori del parto, senza i quali, almeno fino a questo momento, la continuazione della vita è impossibile).

A causa della parzialità delle correnti filosofiche accade che esse siano moltissime e si escludano a vicenda, analogamente alle religioni, cosa che non è caratteristica delle scienze private, perché non sono molte matematice, o fisice, o medicine, e così via. Sebbene esistano diverse suddivisioni o rami di queste scienze, essi non sono, di regola, in conflitto tra loro, poiché hanno diversi sfere di attività o aree degli oggetti, e anche quando i loro aree si sovrappongono, come avviene con le medicine classiche, orientali, e popolari, allora nessuna delle loro mette in discussione i principi fondamentali, come ad esempio che il cuore dell'uomo è nella parte sinistra del torace, che egli ha due mani con cinque dita, ecc., ma essi semplicemente forniscono alternativi approcci. Allo stesso tempo in filosofia si discute da secoli se la materia viene prima dell'idea su essa, cosa per un processo ciclico non ha senso, e parafrasa la questione dell'uovo e della gallina, di cui io dubito che anche un bambino già frequentando la scuola comincerà a discutere (ma i filosofi fanno questo).

Il vostro autore evita queste situazioni intricate in un modo ovvio, non costruendo sua intera filosofia, ma osservando solo alcuni “spot” o temi della vita, che sono relativamente non contraddittori, e il modo in cui il lettore li collegherà nella sua testa è, come si suol dire, affari suoi. Inoltre nel titolo (in inglese) c'è la parola “essays”, che significa tentativi, esperimenti, così che quando l'autore viene messo all'angolo egli può sempre usare la frase, che a volte usano i clown del circo, dopo che hanno scelti una persona (come se) da il pubblico, li hanno presi la cravatta, hanno tagliati essa con le forbici in piccoli pezzi, hanno messi loro in un cilindro per cappelli, e mescolati bene con una bacchetta “magica”, avendo promesso di togliere la cravatta intatta, e quando essi non possono farlo, dicono: “Ebbene, non c'è niente da fare, l'esperimento non sempre ha successo”.

Veniamo ora al cinismo, ma citiamo prima un'affermazione degli inglesi sulla differenza tra ottimista e pessimista quando vedono davanti a loro una bottiglia (presumibilmente con qualche bevanda gradita all'anima) riempita a metà. Allora il pessimista dice di solito: “Ah, ma la bottiglia è già mezza vuota!”, mentre l'ottimista esclama: “Oh, la bottiglia è ancora piena fino a metà!”. In questo caso il cinico si limita a constatare sollo il fatto, non importa se si tratta di whisky invecchiato di sette anni o di cianuro di potassio, perché a lui interessa solo la verità, indipendentemente dalle emozioni che essa può suscitare. Il cinismo si può opporre anche all'eufemismo, che è il desiderio di dire solo cose belle, e può essere definito (secondo l'autore) in questo modo: l'eufemismo è chiamare qualcuno “persona”, quando egli è semplicemente — io chiedo scusa — un culo. Il “culo” qui è proprio l'opposto del volto che indica la persona, e non è giusto supporre che questo libro sia pieno di “culi”, questa parola non si trova nemmeno da nessuna parte nel testo (ma questo non impedisce ad alcuni lettori di leggerlo fino alla fine, per verificare la veridicità di questa affermazione).

In altre parole, il cinismo dell'autore consiste nel pronunciare varie affermazioni, anche scioccanti, senza fare alcuno sforzo per applicare la necessaria terapia anti-shock, quando queste affermazioni sono vere in molte situazioni della vita, perché la cosa importante per lui è la veridicità di ciò che viene detto, non i suoi aspetti estetici, morali, ideologici, e così via. A proposito, secondo l'atteggiamento delle persone verso la verità è utile fare la seguente classificazione in tre gruppi, precisamente: a) coloro che cercano la verità (una minoranza eccezionalmente piccola, di solito privata di altri piaceri della vita, o costretti a cercarla perché essi hanno scelto un settore inappropriato, nel quale fare carriera); b) coloro che cercano la menzogna (un gruppo più grande ma anche minoritario, che ricevono abbastanza privilegi da questo loro lavoro, anche se non è esclusa la variante di essere ad un livello intellettuale sufficientemente alto da aver capito che la menzogna è più attraente della verità e, quindi, più desiderata dalla gente); e c) tali, che cercano quello che essi vogliono, non importa se questo è verità o menzogna, cioè essi non sono affatto interessati alla verità (la stragrande maggioranza delle persone, che non si preoccupano di negare qualcosa, se questo non piace a loro, dove, ovviamente, ciò che piace a loro non è necessariamente qualcosa di buono secondo la convinzione accettata al momento, così che se a qualcuno piace, diciamo, ficcarsi un dito nel naso, allora questo è buono per lui, però non comunemente accettato; o guardare film sadici, quando si parla di gusti). Per essere cinico bisogna essere intelligente, ma l'affermazione opposta non è necessaria.

C'è però un punto importante con il cinismo: esso può essere scioccante, ma è interessante, perché ogni società si sforza di stabilire delle norme eufemistiche e in questo modo nega le verità ciniche, e anche il frutto proibito è quasi sempre più dolce. Quindi, forse, questi saggi cinici possano attrarre alcuni lettori? In ogni caso, il cinismo non è una malattia contagiosa, né porta alla dipendenza, e si guarisce molto facilmente con ... guardare i media per circa tre mesi, dopodiché non ci sono recidive.

Se voi, tuttavia, siete stati indotti in errore ad acquistare questo libro senza leggere la prefazione (o sei stato ingannato perché lo hai letto), anche in questo caso non c'è nulla di disastroso: voi semplicemente date il libro come regalo a qualche vostro collega o conoscente antipatico, per il quale voi solo pensate come si liberare di lui. Il libro è il regalo migliore e più economico, e il libro brutto è esattamente il regalo ideale in questi casi. Quindi: perché non comprarlo? Io personalmente l'avrei fatto, se non l'avessi scritto io stesso.

 

Febbraio 1999,  Sofia, Bulgaria,  Chris MYRSKI

Tradotto dall'autore nell'agosto 2024

 

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SULLA CREAZIONE E IL CREATO

 

I. La Creazione

 

La creazione del nostro mondo pone una delle domande eterne, alla quali gli esseri umani hanno cercato di trovare una risposta in tutti i tempi storici, e alla quali è impossibile rispondere finché essi non vengono adeguatamente formulate. Tutto il caos qui deriva dai nostri sforzi per ottenere una risposta sensata a domande come: chi, quando, come, e perché ha creato l'Universo, dove la semplice presenza di queste particelle presuppone un qualche tipo di risposta, che avrebbe potuto soddisfarci, e rifiuta la risposta giusta. Quando noi chiediamo “chi”, ciò presuppone che tale essere esista, e quando chiediamo “perché” — che la Creazione ha le sue ragioni. Ma se non c'è “nessuno”, e se non esiste alcuna causa speciale per questo, e tutto è avvenuto come risultato di alcuni processi? Quando la domanda inizia con “quando” o “come”, questo è più ragionevole, ma è molto difficile rispondere, perché noi siamo esseri finiti, come nel tempo, anche nello spazio, e non possiamo comprendere tutta la verità sui tempi andati via. D'altronde la domanda “quando” significa che ci aspettiamo un inizio (e, forse, anche una fine), ciò che ci porta ad associazione “dell'uovo e della gallina”, ma in un processo ciclico non ha senso chiederci dov'è il suo inizio, e l'unica cosa che possiamo fare allora è scegliere un punto di partenza, secondo il quale orientare l'asse del tempo. Poi la risposta alla domanda “come” si può ridurre alla descrizione di alcune regolarità del processo, cosa che avrebbe potuto avere importanza per noi se la Creazione non fosse un atto unico ma un processo che continua per sempre nel tempo, mentre per l'unica Creazione (secondo il cristianesimo) questo dovrebbe avere, come si dice, solo significato “accademico”. Così, invece di cadere in tali trappole logiche, noi partiremo dalla realtà come obiettivo finale e ci chiederemo, quali caratteristiche essa ha e cosa noi possiamo ricavare come causa di queste caratteristiche, cioè noi ci muoveremo deduttivamente scoprendo le regole fondamentali del nostro mondo, che producono i fenomeni osservati in esso. Questa è una impostazione più corretta delle cose, che evita le domande sopra citate come prive di senso, ma può dare una spiegazione soddisfacente della realtà. Nessuno però ci impedisce di supporre che ci sia Qualcuno che ha fatto tutto questo, se per noi così è più comodo, nel qual caso cercheremo almeno di rendere le cose più interessanti.

E ora immaginate un Essere onnipotente, che vive per sempre nel tempo e abbraccia l'intero spazio, Che si chiede solo cosa fare per trascorrere in modo più interessante la Sua vita senza fine. In altre parole, immaginiamo che il nostro “caro Dio” sia impegnato nel difficile compito di inventarsi qualcosa di interessante, tenendo presente che nulla di consueto Lo avrebbe soddisfatto, perché Lui riuscirà sempre a prevederlo, ma allo stesso tempo Lui ha tutto il tempo a Sua disposizione e non sa come usarlo! Che resta dunque al nostro Dio se non inventare qualche gioco, che non Lo annoierà mai? Questo non è un compito banale nemmeno per un Dio, perché questa “cosa” che Lui deve creare deve esistere per sempre e trasformarsi per sempre, ma affinché anche Lui solo non sia in grado di sapere esattamente cosa accadrà nel dato momento e nel dato luogo! Il nostro Essere ha tempo illimitato (affinché la difficoltà del progetto non possa creare problemi per Lui), così come anche materiali per la creazione della “cosa” (perché Lui ha a Sua disposizione tutte le risorse possibili, e anche impossibili, necessarie per la Sua creazione), e anche la possibilità di ispirarvi regole divine (che devono determinare l'interazione tra le risorse). Ebbene, lasciamo che sia Lui a cominciare l'opera!

Per l'elaborazione del progetto concreto Dio deve stabilire quali risorse, tra il numero illimitato di cui Lui dispone, utilizzare, e anche come metterle in pratica. Se Egli mette da parte solo una risorsa in un tempo e in un luogo nello spazio stabiliti, allora questa risorsa si dissiperà dopo un po' di tempo e tutto si fermerà o morirà (e se non si dissiperà affatto, allora tutto sarà permanente, cioè morto), e per tale gioco Lui, sicuramente, non ne sarà affezionato, perché esso è molto superficiale, e Lui avrebbe sempre potuto immaginarlo nella Sua visione. Quindi, Lui deve utilizzare contemporaneamente più risorse, che devono interagire tra loro, anche se non in modo così elementare che una di loro divori le altre, ma per esistere una dinamica incessante, dove da una risorsa si va a un'altra (poi a qualche altra, e così via), ma prima o poi la situazione potrà ritornare ad alcuni degli stati precedenti — il che significa che deve esserci una qualche interazione ciclica. Ora, questo ravviverà le cose, ma per un Dio non ci saranno problemi, conoscendo lo stato iniziale, a calcolare la situazione in ciascuno dei momenti successivi, e questo rende il gioco poco interessante. Quindi oltre alla scomposizione delle risorse in cicli reciprocamente interagenti Lui avrà bisogno di un'altra dimensione del gioco, diversa dalle coordinate temporali e spaziali, e questa è la complessità della costruzione delle risorse da più semplici a più complesse. Ma questa non è la fine dei postulati, perché se le cose avessero potuto solo diventare più complesse, allora anche questo potrebbe essere stato predetto da qualche Dio, e, Dio non voglia, tutto diventa così complesso che emerge qualche altro Dio, che sarà infinitamente complesso! In altre parole, ci deve essere una fine alla complessità, in modo simile — attraverso un ciclo.

Ripetiamo, sono necessarie diverse risorse elementari, che devono interagire tra loro affinché il sistema sia in incessante equilibrio dinamico, dove raggiungendo una certa concentrazione critica di alcune risorse da esse sia possibile costruire nuove risorse, da le seconde — altre più complesse, e così via, fino al raggiungimento di un determinato grado di complessità per ciascuna delle risorse, quando queste devono potersi decomporre nelle loro componenti più semplici. Questa volta questo sarà un gioco interessante e dinamico, ma il nostro Dio, comunque, sarebbe riuscito a indovinare cosa succede in ogni momento e in ogni parte dello spazio, perché le cose sono determinate, e quindi questo non è interessante. Per un Dio, che non Si ferma davanti ad alcuna difficoltà, resta l'unico “obiettivo della vita” inventare qualcosa di indeterminato, o di arbitrario, così che nemmeno Lui stesso possa prevederlo esattamente, ma solo a grandi linee. Solo un gioco del genere vale la pena di essere creato!

Fin qui tutto è bello, tranne due momenti dal punto di vista del Dio di cui noi parliamo. Il primo è che se Dio stesso non riesce a indovinare esattamente lo stato della “cosa” allora Lui non è realmente così onnipotente (ma qui non c'è niente da fare, perché solo tale soluzione sarà davvero interessante da osservare durante il tempo eterno). Il secondo momento è che il nostro Dio applica, infatti, l'unica soluzione possibile del compito prefissato, e per questo non è necessaria una speciale “provvidenza divina” — Egli agisce secondo le esigenze della logica. È vero che i dettagli dell'operazione rimangono, ma con un buon piano tutti possono elaborare i dettagli, e il piano risulta essere dettato dalle stipulazioni del compito, e qualsiasi altro piano non avrebbe soddisfatto i requisiti.

Sicché la nostra ipotesi divina sull'origine di questa “cosa”, che abitualmente chiamiamo Universo, non è affatto necessaria, quando questo è l'unico modo possibile di funzionamento sempre mutevole e stabile della materia. Niente ci impedisce di pensare, che durante l'infinito tempo che precede il nostro sono stati sperimentati vari metodi di interazione e sono stati formati diversi tipi di materia con le loro leggi, e con gli altri metodi corpi materiali non stabili sono scomparsi in un modo o nell'altro e sono rimasti solamente quelli stabili. Esiste un metodo universale per la creazione ed esso è chiamato metodo per tentativi ed errori. Questo metodo funziona sempre, nella condizione che abbiamo a disposizione illimitato tempo e infinite risorse! In questa situazione non ha alcuna importanza se noi accettiamo che qualche Essere ha conosciuto in anticipo cosa funzionerà e cosa no, o se questo sia stato stabilito dopo moltissimi tentativi nei tempi eterni.

Più di questo, l'accettazione dell'ipotesi di una Creazione divina del mondo non risolve affatto il nostro problema ma lo sposta soltanto, perché allora, naturalmente, sorgono le domande: chi, quando, perché, e come ha creato proprio questo Dio (o dei)! Se la Creazione ha un inizio, allora perché questo Essere eterno ha scelto proprio questo momento per iniziare, quando Lui ha sempre saputo tutto e per Lui ogni momento avrebbe dovuto essere ugualmente adatto? Se la materia non esisteva prima che Dio la creasse, allora da ciò è stato fatto Lui stesso, e chi lo ha reso così eterno e onnipotente? Anche il presupposto che il tempo e lo spazio siano stati creati da Dio, e come tali non siano esistiti prima di Lui, ci aiuta solo per le domande “quando” e “dove”, ma rimane il “perché”, come anche, principalmente, “chi” Lo ha creato, nel qual caso noi siamo costretti a permettere l'esistenza di una qualche gerarchia di Dei, il che ancora una volta lascia la questione aperta! E anche la teoria della Creazione divina è necessaria solo dopo aver accettato l'ipotesi di Dio, per confermare la Sua onnipotenza, ma non ci fornisce prove della Sua esistenza, né spiega sufficientemente bene il mondo reale al livello delle nostre conoscenze attuali. Essa è assolutamente ridondante e potrebbe esistere solo come una bella favola.

 

II. La natura

 

La natura obbedisce ad alcune leggi fondamentali che determinano la sua stabilità. Essi sono ben noti, anche se possono essere formulati in altri modi, e noi possiamo solo ricordarveli, evolvendoli ad un livello migliore per comprensione.

 

In ogni area l'equilibrio si mantiene basato su almeno due tendenze opposte, che sono in lotta incessante tra loro muovendosi dall'una all'altra. Questi opposti sono in incessante interazione, ma formano qualcosa di unito (che, da un altro punto di vista, potrebbe essere solo una di un'altra coppia di tendenze). Non c'è proprio altro modo per stabilire un equilibrio dinamico (altrimenti sarebbe stato un equilibrio statico)! E senza dinamica, cioè senza movimento, o, detto più in generale, senza cambiamento, non accade nulla nel nostro Universo, solo che i processi di cambiamento possono essere così lenti da sembrarci immobili (ad esempio: la vita del nostro Sole rispetto con una durata di vita umana). Non ha alcuna importanza principale se le cose siano due o più — l'importante è che sia un cambiamento incessante, o meglio un ciclo, che non è necessario che abbia un periodo costante esattamente stabilito. Noi possiamo immaginare questo ciclo come un cerchio, o come una linea chiusa (i matematici hanno un termine speciale per omomorfismo, o mantenimento della forma mediante deformazioni elastiche, per cui ciascuna linea chiusa è omomorfa al cerchio e, in questo senso, indistinguibile da esso). In particolare, se noi giriamo un cerchio e lo guardiamo di lato ma rimanendo nel piano del cerchio, allora esso degenera in un segmento di linea, che è analogo al movimento reciproco, per cui se un punto si muove su un cerchio allora esso, visto di lato, si muoverà come un pistone. E, naturalmente, non è sempre necessario avere punti, corpi, e cerchi spaziali reali, se parliamo di cambiamento di alcune tendenze o interazioni (ad esempio, caldo - freddo, semplice - complesso, vivo – morto, e così via).

Poiché, tuttavia, il ritorno successivo nello stesso punto (o condizione) non è esattamente lo stesso ma differisce in qualche parametro, noi possiamo usare anche la nozione più generalizzata per evolvere a spirale o a chiocciola (se il cambiamento avviene sullo stesso piano), o per molla arrotolata o solenoide (se immaginiamo il cambiamento anche in un'altra dimensione) — in latino entrambe le cose si chiamano helix. Da queste generalizzazioni noi possiamo facilmente ritornare alla nozione ciclica, sia schiacciando la spirale, sia premendo il solenoide (o osservandolo in direzione degli assi della molla). Questo modello generalizzato è migliore perché il nostro mondo, per come lo guardi, è immensamente complesso e il ritorno avviene sempre in uno stato leggermente diverso. Inoltre, nessun esperimento può ripetersi esattamente nello stesso tempo (nessuno può attraversare due volte lo stesso fiume, come dicevano gli antichi), e noi possiamo considerare questa nuova dimensione proprio come l'asse del tempo.

 

2. L'accumulo di grandi quantità in un dato luogo porta all'emergenza di nuove qualità dell'oggetto in questione, o, detto in altre parole: le strutture complesse vengono costruite sulla base di quelle più semplici. Queste, naturalmente, sono solo leggi qualitative e in nessun luogo è definito esattamente cosa significa “grandi quantità”, né “strutture complesse”, ma questo è inevitabile, perché ogni definizione esatta pone qualche tipo di restrizione! La cosa importante è la costruzione multistrata delle cose nell'Universo, e avendo presente la nostra conoscenza (perennemente) ristretta noi non possiamo sapere se ci sono limiti nel nostro movimento, sia al più semplice, sia al più complesso, così che esso è accettato che sia illimitato (ma in alcuni casi può essere il contrario). Questa gerarchia di complessità non è solo manifestazione dell'organizzazione nella natura (che può essere attribuita, se desiderato, all'origine divina di tutto ciò che esiste), ma è anche il più importante strumento di aiuto della conoscenza umana, perché consente applicazione di diversi metodi e costruzione di vari modelli del mondo reale a diversi livelli di ispezione! Se nel progetto di una casa fossero raffigurati tutti i mattoni distinti (o i granelli di sabbia) è difficile credere che qualche costruttore ci avrebbe trovato la sua strada; come anche se il comportamento umano fosse stato spiegato, ad esempio, a livello atomico, non avremmo potuto dire nulla sul funzionamento dell'organismo nel suo insieme.

E ancora un momento importante, che è conseguenza della legge precedente: la necessità non solo del semplice di andare al complesso, ma anche viceversa — il complesso di essere in condizione di scomporsi nel più semplice per chiudere anche il ciclo in relazione alla complessità. La visione corretta è osservare la complessità come una aggiuntiva dimensione del mondo materiale, nella quale anche si stabilisce il necessario equilibrio dinamico tra le forze creative e distruttive. È impossibile che esista creazione incessante senza distruzione, come è impossibile che esista vita senza morte! Qualsiasi negligenza da parte di una parte porta a inevitabili collisioni, e poiché l'essere umano trova il suo compito principale nella creazione, la distruzione avviene molto spesso in modo caotico e crudele. Se la nostra creazione è solo una reazione dell'inevitabile distruzione nella natura, allora l'approccio umano è, più o meno, buono, ma con l'aumento delle nostre capacità, soprattutto negli ultimi secoli, si osserva in tutto il mondo una totale impotenza di fronte al lato distruttivo della coppia di tendenze. Sta a noi bilanciarlo in modo intelligente.

 

3. I sistemi complessi sono /devono_essere costruiti in modo semplice! A prima vista questo è lo stesso di cui abbiamo appena parlato, ma qui noi non siamo interessati al cambiamento di una qualità in un'altra, ma al modo di intensificazione della stessa qualità. E le parole “devono essere” noi le abbiamo aggiunte perché se questo principio non viene osservato le cose non vanno bene, perché la complessità comincia a crescere come una valanga e il sistema si confonde, cioè esso si confonderebbe se questo fosse un sistema artificiale, ma in natura confusione non accade proprio perché il complesso è costruito in modo semplice! Bene, ma in fondo cosa noi abbiamo in mente qui?

Ebbene, qui si tratta di come sono costruite le rocce, per esempio, o gli alberi, o le galassie, o i nostri muscoli, eccetera, eccetera. E essi sono costruiti in modo tale che il sistema complesso semplicemente copi qualche sistema più semplice e così via fino a raggiungere la variante più semplice, che è il livello più basso del passaggio alla nuova qualità. Nell'esempio delle rocce queste sono costituite da massi diversi, che a loro volta sono costituiti da pietre più piccole, e così via; gli alberi sono costituiti da rami, che si ramificano in rami più piccoli, e così via fino ad arrivare alle foglie; i muscoli sono costituiti da minuscoli gruppi di fibre, ed anche in vari frutti noi abbiamo simili aggregati di cellule o di semi (nel melograno, nel fico, nel melone, ed altri), o nel caviale dei pesci, che è avvolto in pelli sottili, o nel rene, o nel cervello dei mammiferi, e molti altri esempi; e stessa è la situazione con le galassie.

Questa questione è stata investigata abbastanza bene nel 20-esimo secolo (non che prima la gente non avesse idee simili) modellando immagini artificiali — coste, paesaggi, galassie, alberi, ecc., e c'è il termine importante chiamato ricorsione, o anche ricorrenza (che può essere anche qualcosa di leggermente diverso se lo definiamo esattamente). L'albero è la tipica struttura ricorsiva bidimensionale largamente utilizzata in informatica, ma ogni espressione matematica è anche qualcosa di simile, perché al posto di ogni lettera può stare un'espressione simile (qui la ricorrenza di alcune formule significa esprimere un termine di una determinata serie con termini precedenti della stessa serie). Un significato simile ha la nozione di frattali, o struttura frattale (cioè parziale), che significa tali corpi (nel caso generale, ma essi possono essere anche delle curve), che consistono, per così dire, di se stessi, cioè a seconda del grado di ingrandimento possiamo vedere l'uno o l'altro livello dei corpi, dove ogni livello è realizzato nello stesso modo. In questa situazione si scopre che, ad esempio, la linea costiera non può mai essere misurata esattamente, perché tutto dipende dalla “bacchetta” con cui noi misuriamo, e più si diminuisce l'unità di misura più questa linea diventa lunga, fino a raggiungere il livello atomico.

Per quanto la frattalità è una nozione nuova noi possiamo aggiungere anche che essa è in relazione con una sorta di dimensione non intera (!), con la quale possiamo avere una curva (oggetto unidimensionale) che gira così attorno al piano, che lo ricopre interamente, e quindi la nostra linea ha dimensione due! Ebbene, a livello concettuale le cose non si possono spiegare esattamente ma noi abbiamo simili linee, ad esempio, in economia quando si seguono i prezzi di un dato prodotto o valuta per periodi diversamente lunghi (mesi, settimane, giorni). Da questo esempio si vede che nulla impedisce ai frattali di essere anche probabilistici o casuali (il principio successivo), né è ristretto il livello della loro applicazione, dove possono esistere linee frattali del movimento delle particelle elementari, come anche parlare di frattalità di intere galassie. La frattalità è quindi una caratteristica fondamentale dell'Universo e permette di costruire facilmente strutture complesse utilizzando la rappresentazione ricorsiva di quelle più semplici. Se noi affrontiamo la questione in modo algoritmico, allora questo algoritmo ricorsivo sarà più semplice di qualche altro (ad esempio, ciclico). Ma la cosa importante qui è che la frattalità del nostro mondo è proprio l'unica decisione massimamente economica, che non permette che la complessità diventi eccessivamente grande, e allo stesso tempo le stesse strutture possono essere molto complesse. Che dire che anche da questo punto di vista il nostro “dio” non ha fatto niente di più di quello che era obbligato a fare, se ha voluto avere una facile codificazione di strutture complesse, altrimenti il nostro mondo non sarebbe stato così stabile, cioè esso non sarebbe esistito fino ad ora.

 

4. Il nostro mondo non è del tutto determinato e non può esistere senza coinvolgere la casualità! Ciò significa che tutta la nostra conoscenza è limitata, non solo dall'attuale livello di evoluzione delle scienze, ma anche dalle leggi naturali, che la rendono non sufficientemente definita in ogni caso concreto, ma solo nell'aspetto statistico più generale. Nella fisica atomica è diventato necessario presupporre che di una particella materiale non possiamo conoscerli entrambi, la sua posizione esatta e la sua velocità (il principio di Heisenberg), e se noi conosciamo la una cosa, allora non possiamo trovare la altra. Nella teoria matematica della probabilità si afferma qualcosa, a prima vista, piuttosto gesuitico per il lettore non iniziato, e cioè che l'arbitrarietà è necessaria e la necessità — arbitraria! Ciò, tuttavia, è pienamente giustificato dal punto di vista della diversità nell'Universo, dove proprio questa incertezza consente cambiamenti facili e imprevedibili, dando un'ulteriore dimensione del dinamismo. A livello della materia organizzata ciò si esprime nell'inesattezza nella copiatura del codice genetico, come anche in diversi difetti di questa materia, ma simili difetti si riscontrano anche nella materia inorganizzata, e se alcuni di essi non sono del tutto indeterminati allora diventa necessario che l'arbitrarietà si manifesti a livello atomico e subatomico — nel moto browniano, per esempio. Per questa ragione in ogni ripetizione di un processo nel tempo è probabile che esso differisca leggermente dal periodo precedente; noi possiamo provare a studiarlo il più possibile ma la Natura (o Dio, se voi preferite) ha sempre preso provvedimenti affinché rimanesse qualcosa di indefinito. Senza la casualità le cose per noi sarebbero state più facili, ma allo stesso tempo anche molto più noiose e identiche. Il mondo casuale conferisce varietà nel caso concreto, combinato con esatte regolarità in quello generale. Che questo sia un bene o un male non importa — semplicemente questo è il nostro mondo.

Tuttavia, poiché sia la casualità che la conoscenza inesatta hanno per noi lo stesso effetto, il che riduce a un certo grado di ignoranza, non c'è molta differenza su ciò noi attribuiremo questa mancanza di conoscenza — è importante tenere questo presente nei nostri modelli e teorie scientifiche. Quindi, ad esempio, quando lanciamo una moneta noi sappiamo che c'è una probabilità di 1/2 che essa cade su un dato lato, e se avessimo potuto prendere in considerazione in modo assolutamente impeccabile tutti i fattori che determinano la sua posizione, allora forse avremmo potuto calcolare esattamente da che parte essa cadrà? Sì, ma noi non possiamo farlo! E se penseremo che non possiamo prendere in considerazione tutti questi fattori perché la nostra conoscenza è ancora piuttosto impotente (cioè noi non possiamo conoscere il comportamento di ogni singolo atomo — e perché non anche dell'elettrone? — dall'aria che circonda la moneta in ogni istante), oppure assumeremo che il moto browniano delle particelle d'aria non ci permetta di sapere esattamente qual è il luogo e la velocità (come vettore, compresa la direzione del movimento) di ogni singola particella, per noi questo non fa praticamente alcuna differenza. Simile è la situazione anche per le ricerche di mercato, per la demografia, per l'ereditarietà, e dove altro no. Per quanto espandiamo la nostra conoscenza del caso generale, il caso particolare rimarrà per noi sempre una “magia”, ma per quanto noi ci interessano i risultati, le cause non sono così importanti.

 

III. La materia organizzata

 

La materia organizzata fornisce un livello più elevato di complessità, perché qui sono uniti in un unico pezzo vari elementi più semplici (molecole, gruppi di cellule, organi), che hanno obiettivi di vita comuni, e i diversi elementi hanno un certo grado di specializzazione nel funzionamento dell'intero organismo. Qui si verificano almeno due diversi stadi dell'esistenza, vale a dire: l'organismo adulto e il seme (cioè alcune informazioni sulla costruzione e il funzionamento dell'organismo sviluppato), ciò che dà maggiore resistenza all'organismo (allo stadio del seme), così come anche idea più elaborata per il cambiamento della vita con la morte dell'organismo. In altre parole, mentre la materia non organizzata può solo invecchiare e decadere, e la sua nuova origine dipende da altre interazioni, allora la materia organizzata può riprodursi. In questo modo il ciclo vita - morte di un dato organismo può essere diretto dalla specie stessa, e la riproduzione della specie diventa lo scopo principale dell'organismo. Entro i confini della parte conosciuta dell'Universo finora non è stato trovato altro modo di esistenza della materia organizzata (perché non è stata scoperta un'altra materia simile) se non quello basato su lunghe molecole organiche, dove codificare il codice genetico, ma ciò non significa che non possa esistere un'organizzazione su qualche altra base. I virus informatici, ad esempio, hanno la proprietà fondamentale della riproduzione, che si scrive su un mezzo materiale non organico, e essi sono un esempio di “organismo” non materiale che può esistere in un mezzo di cellule elementari di memoria (indipendentemente dalla loro base). Non è un problema insuperabile la creazione di dispositivi meccanici che sono in grado di riprodursi (insieme con l'unità riproduttiva), dove in questo modo la fase del seme può divenire superflua, tanto che non è escluso che nel prossimo futuro noi diventeremo testimone anche della vita artificiale.

La materia organizzata sulla Terra comprende le piante e gli animali, ma noi tratteremo principalmente alcune caratteristiche comuni degli animali, per cui dicendo “vita” noi intendiamo specificamente gli animali, sebbene alcune delle leggi menzionate di seguito esistono in una certa forma (embrionale) anche presso le piante. Nella misura in cui in questa analisi noi ci muoviamo dal grado di complessità più basso a quello più alto (per arrivare nella sezione successiva agli esseri umani), noi possiamo comprendere anche gli animali superiori, sebbene ciò non è obbligatorio. Qui noi formuleremo alcuni principi fondamentali, che non pretendono di essere completi, ma essi sono di grande importanza perché sono utili per la spiegazione di vari fenomeni della vita, e a cui viene data una risposta più precisa (e quindi più ristretta) nelle corrispondenti scienze specializzate.

 

1. Le percezioni della vita si caratterizzano con scala modale centrata! Lo spiegheremo questo partendo dalla capacità della vita di rispecchiare in qualche modo il mondo reale in sé e di misurare differenze quantitative in un dato parametro, che essa utilizza nella formazione del suo comportamento in varie situazioni. In questa riflessione i corrispondenti organi di percezione devono tener conto delle leggi naturali sopra menzionate e, in particolare, raggiungendo una delle due tendenze opposte poter andare nella tendenza contraria ma muovendosi nella stessa direzione, per chiudere il ciclo. Se noi usiamo l'analogia con qualche dispositivo di misurazione, allora la sua scala (intendiamo analogica) può essere: o qualche segmento di linea, e in questo caso quando si raggiunge una delle posizioni estreme il dispositivo cessa (temporaneamente o permanentemente) di misurare; oppure una qualche linea chiusa (cerchio), nel qual caso al raggiungimento di una data posizione condizionale finale noi iniziamo un nuovo giro sul dispositivo dall'altra posizione finale (che è la stessa). La scala lineare è imperfetta alle estremità, e poiché la tendenza che noi misuriamo può superare notevolmente i confini dello strumento di misurazione (organo percettivo) diventa spesso necessario lavorare esattamente alle estremità. La scala ciclica, invece, è universale, solo che con essa la misurazione (cioè la percezione, qui) può essere altamente imprecisa, nel senso diametralmente opposta, ma questa è la decisione più spesso scelta dalla Natura, perché essa preserva il dispositivo! Tale scala ciclica in matematica è chiamata modale, in base al modulo del numero più alto (come i giorni della settimana sono calcolati in base al modulo 7, e tutti i contatori digitali funzionano in base al modulo di una potenza del dieci), e se lo zero è al centro della scala (come è col termometro, solo che essa non è modale) allora essa è anche centrata.

L'analogia più semplice è immaginare un termometro flessibile che misura da -50°C a +50°C, e che noi abbiamo piegato così in cerchio, che entrambe le posizioni finali siano incollate (e il dispositivo funziona!). In questa situazione, quando la temperatura diventerà +51°C noi leggeremo -49°C. Gli esempi di questa legge sono moltissimi e variano dalle percezioni sensibili più elementari ai sentimenti più complicati (e inerenti solo all'uomo), ad esempio: toccando un oggetto congelato con mano nuda noi sentiamo e sperimentiamo ustioni (di diverso grado); quando c'è troppo rumore noi diventiamo assordati; alla luce intensa diventiamo ciechi; la dolcezza, quando diventa eccessiva, comincia ad avere un sapore amaro; l'amore confina con l'odio (questa è la reazione più primitiva, ma anche più abituale all'eccessivo rafforzamento di questa emozione); la forza — con la debolezza e viceversa; il coraggio si trasforma in codardia, e quest'ultima può trasformarsi nel più grande coraggio; la risata si trasforma spesso in pianto e viceversa (soprattutto con i bambini, ma anche con le donne); la genialità confina con la stupidità (e talvolta viceversa); e così via. Ma queste percezioni non corrispondono alla realtà, perché non c'è niente in comune tra +50° e -50°, per esempio, nemmeno tra le lunghezze d'onda dei colori viola e rosso, ma noi veniamo naturalmente dall'una cosa all'altra, come se essi fossero adiacenti. Questi non sono paradossi, ma regole per i nostri organi sensibili e per le reazioni emotive — se la nostra conoscenza comprende anche la legge della scala modale delle percezioni. Così che se qualcuno riesce, ad esempio, a impedire che il suo amore si trasforma in odio (o almeno in gelosia), trasformandolo in indifferenza (il punto zero della scala, che è diametralmente opposto all'amore o all'odio forte), allora esattamente egli si comporta in modo paradossale, anche se ragionevole (perché la manifestazione della ragione nelle reazioni umane è solo un'eccezione).

 

2. La riflessione nella vita è condizionata e distorta, dove “condizionale” qui significa che la realtà è accettata a seconda dello stato interno dell'organismo, cioè della sua memoria, dei suoi istinti e dei suoi riflessi, ma anche dell'ambiente e della situazione; e “distorto” significa che, da un lato, la scala della percezione è diversa da quella del fenomeno riflesso, e, dall'altro, la riflessione è imprecisa e deformata. In breve, gli “strumenti di misurazione” della vita sono di scarsa qualità e parziali, ma proprio questo è lo scopo della riflessione della vita, perché essa prepara in una certa misura la presa della decisione. Negli animali superiori esistono organi specializzati per la percezione, l'immagazzinamento, l'elaborazione dell'informazione, e l'azione in base alle condizioni, che mancano nelle specie inferiori, ma quelli superiori anche usano la percezione condizionale, perché essa consente un utilizzo più efficace dell'informazione, poiché in questo modo essa viene in qualche modo elaborata. Il punto è che se qualche immagine simboleggia un pericolo, sulla base dell'esperienza precedente, allora l'animale è pronto a reagire senza troppi “pensieri” e analisi dettagliate, e se qualche altra situazione simboleggia un cibo, esso si prepara ad accettarlo. In questo aspetto può esistere una differenza, ad esempio, da parte di qualche intelligenza artificiale, dove noi avremmo messo esattamente degli organi specializzati, che devono prima registrare la situazione e poi analizzarla, dove nella vita questi due processi sono uniti (anche con le necessaria risposta alla situazione); si può supporre che questo sia un metodo evolutivo forzato di funzionamento degli animali superiori come preso da quelli inferiori, ma per il momento esso si rivela più adatto quando è necessaria una reazione rapida, ed è per questo che gli esseri umani molto spesso si affidano sui loro istinti e riflessi, non sul loro intelletto, che avrebbe dato decisioni più precise, ma anche più lente (vedete anche “Sull'intelletto”). In ogni caso, molto spesso alcuna condizionalità è necessaria. Più o meno lo stesso significato ha il termine percezione selettiva della vita, dove ciò che non interessa l'organismo viene rifiutato e viene accettato solo ciò che è necessario, a cui reagisce. E sicuramente questo, che la riflessione della vita attualmente è migliore dell'intelligenza artificiale modellata, non significa che essa rimarrà tale anche in futuro.

Per quanto riguarda la riflessione distorta si tenga presente che la maggior parte delle scale sensibili sono logaritmiche (cioè essi misurano in “volti”), ma ciò è bene per ampliare il diapason delle percezioni (a discapito dell'accuratezza, che solitamente non è di grande importanza). Questo, ciò non è molto buono, sono i diversi difetti dei corrispondenti organi sensibili, ma se la natura avesse rifiutato del tutto i difetti, ciò avrebbe diminuito notevolmente l'adattabilità della vita, perché proprio i diversi difetti sono questi, che permettono una facile applicazione del metodo per tentativi ed errori, con la successiva fissazione dei cambiamenti o mutazioni appropriati nel codice genetico, così che: ogni nuvola ha un lato d'argento (come dicono gli inglesi)!

 

3. Le reazioni della vita sono inadeguate agli irritanti. Questa è naturale conseguenza dell'organizzazione della materia, per la quale non vale la legge di Newton. Ciò, però, non significa che le reazioni siano imprevedibili o casuali (anche se questo accade talvolta), ma che essi sono piuttosto invertite, o contrastanti l'irritante in tal modo che esso diventi: o eliminato, se ciò è possibile; o accettato obbedientemente, se ciò è inevitabile! Più precisamente, ciò significa che agli irritanti più forti la corrispondente reazione è debole, e a quelli più deboli — più forte, dove solo in via eccezionale è possibile una reazione adeguata all'irritante di media forza! Questa è la situazione dagli animali più primitivi fino a quelli più elevati e gli esseri umani (ciò che viene trattato più approfonditamente nel capitolo “Sulla violenza”). Qui noi ci permettiamo solo di menzionare che questa reazione inadeguata è del tutto ragionevole, dal punto di vista dell'interazione con la natura, ma non è molto ragionevole per essere applicata in modo massiccio da parte dell'uomo, quando ci sono reazioni più ragionevoli.

 

IV. L'essere umano

 

L'essere umano è considerato il coronamento della Creazione, ma questa affermazione è dettata da un comune egocentrismo. Se il verme, per esempio, avesse potuto pensare, esso molto probabilmente avrebbe considerato anche se stesso come l'essere più perfetto, perché esso vive quasi ovunque, ha una struttura semplificata, cioè più affidabile, e si riproduce facilmente per semplice divisione, e la sua alimentazione non presenta particolari difficoltà, e esso non conosce l'uccisione, e non soffre di malattie mentali, di dipendenza da droghe, o di perversioni sessuali, eccetera. ( Noi dobbiamo trattare, generalmente detto, gli animali inferiori e le piante con una certa comprensione e gratitudine, perché essi non solo sono precursori evolutivi degli animali superiori, ma senza di essi la vita di questi ultimi sarebbe stata impossibile. ) Ciò che si può dire dell'essere umano è che lui: appartiene alla classe dei mammiferi superiori, conduce uno stile di vita gregario, è considerato onnivoro, si caratterizza da un'attività sessuale tutto l'anno, e ha capacità mentali più sviluppate (anche se non le usa così tanto particolarmente buono) rispetto a vari altri animali. Solo che noi, naturalmente, non intendiamo effettuare qui una descrizione più profonda dell'essere umano a livello fisiologico, anatomico, psicologico, o qualsiasi altra descrizione dell'umano, ma solo sottolineare alcune delusioni di massa dovute al suo irragionevole omocentrismo, che è utile tenere a mente da tutti. Essi sono i seguenti:

 

1. La natura è completamente indifferente all'uomo, non importa se questo ci piaccia o no! Nessuno fa una cosa per compiacere l'uomo — né la materia inanimata, né una pianta, né qualche altro animale. Ma proprio per questo motivo quasi ogni essere umano si mette in testa che tutto gira intorno a lui, e fin dall'antichità ha addirittura ideato alcuni immaginari e immateriali dei, che non hanno altro lavoro se non quello di pensare agli esseri umani e a come renderli migliori, o come punirli quando essi si comportano male. Dal punto di vista della natura l'essere umano è solo una specie di materia biologica e non ci sono ragioni per pensare che anche l'intera umanità possiede qualcosa di più prezioso da qualunque dei miliardi e miliardi di stelle disperse nello spazio. Anche rispetto alle dimensioni del nostro globo, l'essere umano non è altro che un microbo in un secchio d'acqua. Questo, ciò che immaginiamo di noi stessi, è irrilevante per la vita nell'Universo; anche se noi decidessimo di far saltare in aria l'intera Terra ciò non mostrerebbe alcuna influenza sull'esistenza cosmica. Le nozioni da noi inventate sul bene o sul male non hanno nulla in comune con la natura, soltanto con noi soli, quindi è giunto il momento di sostituirle con qualcosa di più ambientale, perché altrimenti la natura si “vendicherà” per la nostra ignoranza come meglio le conviene. È giunto il momento di cessare, o almeno di limitare, le nostre ambizioni di ricostruire il mondo secondo i nostri desideri, e di batterci il petto e ridere soddisfatti quando occasionalmente avremo successo in questo. La natura è indifferente a noi mentre noi siamo quelli che devono interessarsene, perché essa non è affatto irrilevante per l'uomo, nella misura in cui egli vive in essa.

 

2. L'essere umano non è una creazione perfetta della natura, almeno non nel senso di completa, ultima, impareggiabile! Lui non è perfetto perché non si adatta bene all'ambiente, non si inscrive nel esso, ma cerca di adattare l'ambiente secondo se stesso. È chiaro che ogni animale tenta, un po' o più, di modificare l'ambiente preparandosi almeno qualche tana, o facendo provviste di cibo, ecc., ma solo l'essere umano non bilancia bene i suoi scopi con il mantenimento dell'ambiente e, ad esempio: distrugge più risorse di quelle di cui ha bisogno; uccide non per nutrirsi ma per il piacere (o il gusto) di farlo; costruisce enormi formicai umani non per necessità ma perché così è più facile e per irragionevole orgoglio; e così via. Perfetta a suo modo è la lucertola, perché quando essa si strappa la coda poi ne ricresce una nuova, ma noi non possiamo farlo; o gli altri mammiferi, che partoriscono in condizioni più primitive ma naturali, mentre gli umani (cioè le donne) lo hanno già disimparato; o l'orso, perché dorme 3-4 mesi, quando le condizioni di vita sono sfavorevoli per esso, ma noi non riusciamo a dormire, diciamo, durante una crisi economica; o le formiche, poiché esse hanno un'organizzazione sociale di cui noi possiamo solo essere invidiosi, o trasportano carichi circa dieci volte più pesanti del loro stesso peso, costruiscono grattacieli più grandi dei nostri (rispetto alla loro dimensione) e questo con materiali molto non durevoli o con cose a mano; la scimmia, che può aggrapparsi alla propria coda e arrampicarsi sugli alberi, mentre noi, da quando ne siamo scesi, ora non saliamo mai più; lo scoiattolo, che sebbene non abbia ali ma può planare con grande successo; la mosca, se volete, che è così resistente che niente può annientarla, perché esisteva ai tempi dei dinosauri e, molto probabilmente, esisterà dopo che gli umani saranno scomparsi dalla superficie del pianeta; e così via, e così via. In altre parole, gli esseri umani non hanno nessuna perfezione particolare, se non la loro universalità, ma questa è un'arma a doppio taglio e non è affatto chiaro se ciò sia nel bene o nel male!

Per coloro che potrebbero obiettare che gli esseri umani hanno ottenuto un grande successo nella società, hanno creato arti e scienze, ecc., si può dire che quasi in ogni area della conoscenza umana noi siamo tragicamente indietro rispetto agli obiettivi finali in un dato dominio, per esempio: la medicina continua ancora in gran parte a tagliare e sostituire, invece di curare l'organo malato o di farlo crescere da una coppia di cellule; anche la stomatologia non ha ancora inventato un metodo per far crescere di nuovo i denti di una persona (e quando una volta nella vita essi cadono e nuovi ricrescono, allora questo deve essere del tutto possibile fare quante volte noi vogliamo, solo che noi non sappiamo come); la giurisprudenza è un “secchio di dolore” perché non ha ancora trovato la via per una giustizia oggettiva (finché un essere umano partecipa al sistema di giudizio, lavora dietro compenso ed esiste un contatto diretto tra giudice e imputato, saranno inevitabilmente presenti la corruzione e la parzialità); l'arte soffre della mancanza di una valutazione obiettiva e tempestiva delle proprie opere; la società nel suo insieme non ha ancora stabilito la specializzazione degli individui dal momento della loro nascita, mentre ogni organismo non unicellulare ne possiede una per le sue cellule; la politica si basa su semplici astuzie tra politici e masse popolari, così come su opinioni parziali, e non è ancora possibile trovare un modo per prevedere il comportamento degli individui nelle varie situazioni, o per sviluppare alcune nuove capacità come telepatia (che, ovviamente, è possibile per alcuni individui in particolari momenti), telecinesi e altre cose simili; non sono ancora state scoperte alcune onde temporali o altri modi per presenza evidente in altri tempi (almeno per il monitoraggio del passato, se per il futuro potrebbero sorgere dei paradossi); non esistono iniziazioni per arrivare ai segreti della gravità, e senza di essa i voli spaziali restano solo un bellissimo sogno; e così via. E non ha senso scusarci con questo, che anche gli altri animali non hanno (ancora) raggiunto tali livelli, perché noi abbiamo già notato che in molti ambiti concreti gli animali sono più specializzati e più adatti dell'uomo. È vero che la nozione stessa di perfezione presuppone l'incapacità di raggiungerla (perché una volta raggiunto questo stadio non ha senso fare alcun ulteriore movimento in avanti), ma a questo riguardo noi possiamo essere assolutamente sicuri, perché semplicemente non esiste un simile pericolo per gli esseri umani.

 

3. All'essere umano manca praticamente il libero arbitrio di agire secondo i suoi desideri, e anche questi desideri sono ben lontani dall'essere liberi ma sono dettati da diverse necessità legate alla sua organizzazione e al suo funzionamento! Detto altrimenti: l'essere umano è un risultato di azioni a cause ignare degli obiettivi a cui essi sono dirette; oppure gli esseri umani solo per questo pensano di essere liberi perché sono coscienti dei loro desideri ma non delle cause che li costringono! La libertà, ovviamente, è una nozione relativa, perché nel nostro mondo infinitamente interconnesso la libertà di uno dei suoi elementi si esprime in una certa restrizione dell'altro, per cui essa è una questione di equilibrio, soprattutto nell'aspetto individuale. Ma noi non stiamo parlando di alcune libertà astratte, come: una dominanza su tutti gli altri, o la libertà di scegliere i propri genitori, o di nascere o no, e il senso della nostra affermazione è che in molti casi quando noi pensiamo di essere liberi, solamente inganniamo noi stessi; o, rispettivamente, noi facciamo una cosa nel modo migliore quando non sappiamo perché la facciamo! Ebbene, nessuno ci impedisce di cadere nell'illusione di noi stessi, quando questo ci piace così tanto, e questo anche ci aiuta (e c'è sempre anche qualcuno che ci risparmia il lavoro di illuderci da soli), ma la verità è che il nostro comportamento è, comunque, programmato, una cosa che, dopo le conquiste contemporanee della genetica, deve essere ovvia. Noi abbiamo alcune libertà, soprattutto la libertà di commettere errori, ma anche questa libertà di errore può essere (ed è) programmata, perché gli errori sono manifestazione della casualità del nostro mondo. Se usiamo una parola del gergo informatico noi possiamo dire che la gente sono una sorta di “terminali intelligenti”, ciò significa che essi sono dispositivi finali che possono funzionare in modalità autonoma, ma essi sono collegati in una rete comune (la rete della società e della natura). Ma sicuramente anche gli altri animali non sono molto autonomi, se questo ci può consolare.

 

4. L'essere umano è solo un altro esperimento naturale, nel processo della sua incessante evoluzione, e anche questo, se esso riuscirà o meno, non dipende molto da noi soli. Ebbene, noi abbiamo qualche diritto di scegliere, come ad esempio: a creare una vita artificiale appropriata, servendo nello stesso tempo come passo necessario verso di essa (e scompariremo con questo del tutto, o manterremo una popolazione ragionevole di, diciamo, 50-100 milioni di persone sul mappamondo, questo non è essenziale); od a sradicare la vita sulla Terra, e questa insieme alla vita, riportandola alla condizione di caos primario, e chiudere così il ciclo di complicazione della vita (cosa che, comunque, prima o poi accadrà); od a riuscire a mutare fino a tal punto da diventare animali realmente pensanti (cioè prima a pensare e poi ad agire, e questo dal punto di vista dell'intera natura, non secondo i nostri desideri), cioè non come noi siamo adesso — esseri capaci di pensare (solo che lo facciamo dopo aver usato tutti i metodi irragionevoli per raggiungere lo scopo); od ad inondare la galassia con la nostra civiltà espansiva e socialmente primitiva, finché sarà necessario che esseri provenienti da altre galassie, o forze naturali primordiali, intervengano per moderarci; o qualche altra possibilità che è raggiungibile per noi. Quale opzione noi sceglieremo dipende da noi e dalla natura, ma la cosa brutta è che anche questo non ha molta importanza per la natura (solo che questo importa per noi), perché per la natura non conta nulla! La natura (o il nostro caro Dio) fa esperimenti, per passare il tempo, solo che tutto questo ricade sulle nostre spalle. Ma qui non c'è niente da fare — questa è l'essenza della Creazione e noi ne siamo solo un anello.

 

E ora questo è tutto ciò che si può dire sulla Creazione e sul creato, se non vogliamo entrare nei grandi dettagli, perché se cominciamo a guardare più in profondità, allora non ci sarà fine. È meglio vivere la nostra vita, finché noi possiamo farlo, e, se possibile, senza ostacolare specialmente gli altri e senza accelerare l'avvento del caos. In altre parole, lasciamo che il gioco chiamato vita continui secondo le sue regole e non inventarne di nuovi.

 

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SULLA DONNA E SULL'UOMO

 

I. La donna

 

La donna è la migliore amica dell'uomo, meglio, ovviamente, degli animali da compagnia! Ciò non significa che l'affermazione inversa non è vera, ma all'inizio noi parleremo della donna, per cui accontentiamoci per il momento di questa verità parziale, e poiché nella nostra recensione noi ricorreremo ad analogie con animali noi possiamo chiamarla anche femmina, e proviamo a trovare alcune caratteristiche comuni dell'individuo femminile tra la gente (cioè dell'antico Yin o Ing ecc. — dipende dalla lingua). Le caratteristiche tipiche sono collettivi e questo non impedisce l'esistenza di molte eccezioni alle regole in vari casi concreti, ma, come è noto, le eccezioni non fanno altro che confermano le regole (con la loro eccezionalità), e, se voi volete, noi possiamo parlare di caratteristiche maschili da parte delle donne e viceversa (qualcosa che è un fenomeno di massa), ma il momento piccante qui è che queste eccezioni si manifestano più spesso tra gli omosessuali, dove essi sono semplicemente costretti a mostrare (anche se l'orientamento sessuale non è necessario per la loro manifestazione). Ciascuno dei due sessi nel suo sviluppo individuale è costituito sulla base di una specie di sesso neutro o dei “bambini”, e dopo una certa età si ritorna ad esso, per cui è ragionevole conservare in sé caratteristiche dell'altro sesso; in questo senso è utile pensare che il sesso neutro è quello in cui sono presenti caratteristiche di entrambi i sessi ma non c'è una chiara predominanza di uno dei due, e non che esso non ha caratteristiche né maschili, né femminili.

Noi non solo elencheremo questi momenti ma li motiveremo partendo dall'obiettivo primario del prolungamento e dello sviluppo della specie (che, in realtà, sono due cose diverse, su cui noi ci soffermeremo più avanti), cercando di mostrare la loro ineludibile necessità (cioè la vita non avrebbe potuto esistere altrimenti quando ci sono due tipi di individui estremamente diversi). Le caratteristiche che noi formuleremo valgono soprattutto nella sfera della continuazione del genere o nel sesso e nella famiglia, mentre in altre attività esse possono non manifestarsi, come anche modificarsi nei loro opposti, ciò però non significa che esse non sono vere; queste caratteristiche determinano le azioni fondamentali dell'uomo e della donna, o le motivano, sebbene la loro manifestazione possa essere soppressa dall'influenza di altri fattori. Molte affermazioni possono sembrare scioccanti, ma è proprio questo il principale “fascino” del cinismo, che nella ricerca della verità esso rivela molte delusioni diffuse e quindi inevitabilmente sciocca le masse.

 

Poiché lo scopo principale della donna è quello di continuare la razza umana, lei, inevitabilmente, è l'elemento conservativo in questo processo, perché “conservare” è sinonimo di preservare, o prolungare l'esistenza. Una breve consultazione linguistica con l'inglese ci porta alla designazione diffusa della donna come “birth box” (scatola di nascita), e anche il nome stesso “woman” (donna) deve essere una notazione semplificata della combinazione womb + man, e voi sapete che la “b” in la prima parola non si legge, quindi essa avrebbe dovuto essere scritta “womman” ma la seconda “m” è scomparsa/*. Simile è anche l'origine della parola russa ‘zhenshchina' (o bulgara zhena), che deriva dal greca gineka (‘ginaika'), ciò che è relato alla radice gen (gene, o jin, scritto cin, in arabo — beh, in turco, ma la parola è araba) e significa “spirito, idea per qualcosa”, cioè per la vita. Così, e un individuo conservativo dirà che la donna vuole sempre le stesse cose mondane — cibo, riparo, soddisfazione dalla vita — e questo nell'interesse della posterità (cosa significa per se stessa, perché dal suo punto di vista lei è la posterità), e non dovrebbe essere considerato nel senso che lei li vuole esattamente uguali nel loro genere, perché la principale qualità della vita è la diversità e il cambiamento. In altre parole, la donna è conservativa nel suo obiettivo di continuazione del genere, ma non nei modi in cui lo realizza! Accade così che la donna conservatrice non è affatto conservatrice nei confronti della tranquillità degli altri che la circondano, ma è direttamente rivoluzionaria nei suoi desideri — come quantitativi (soprattutto), così anche qualitativi — e in questo modo essa è causa della maggior parte dei disastri e cataclismi indotti dall'uomo nella società. Da qui nasce la celebre frase: cherchez la femme, ovvero “cercare la donna” (allora, quando non esistono altre ragionevoli cause per un dato evento). Un significato simile è nascosto nella favola biblica sulla mela della conoscenza, dove è la donna che diventa la causa di tutti i successivi disastri per l'umanità. Non solo l'antica guerra di Troia, che secondo la leggenda fu combattuta per una certa Elena, ma anche la maggior parte delle guerre, per sue ragioni economiche, nascono dalla cura della prole o dell'apparecchio per il parto. Tutte le aspirazioni ad una vita facile e ricca provengono ancora una volta dalla comprensione da parte della donna conservatrice che proprio questo è lo scopo della vita (non che non è così anche per molti uomini, ma essi hanno altri stimoli e si annoiano presto della comodità, mentre la donna può annoiarsi solo per l'insufficiente grado dei suoi desideri). Ma la qualità più conservativa delle donne è così importante che le attribuiamo il punto successivo.

 

[ * Non entriamo nei dettagli sull'esatta etimologia della parola “woman” perché essa non solo è discutibile, ma non dà nulla di utile, poiché tramite un vecchio “wifmon” ci rimanda al nome “wife” (moglie), dove la questione delle idee nascoste nella parola rimane ancora una volta, e poi, se è così, si può aggiungere che per l'orecchio slavo questo “wifmon” suona quasi uguale al loro ‘vime', cosa significa — chiedo scusa — mammella (ma spregiativo,udder in inglese), ciò che non suona più lusinghiero per le donne. ]

 

2. Di entrambi i sessi il femminile è quello più egoista, perché la vita si basa sulla lotta per supremazia di ogni individuo sugli altri e contro gli altri. La continuazione del genere individuale resta al di sopra della continuazione della specie, per quanto questa dipende dalla femmina; nessuna di esse preferirà la vita dei figli degli altri a quella dei propri, per esempio, né ammetterà (senza combattere, come si dice) che i figli degli altri sono migliori dei suoi, quando essi in realtà sono migliori (con la clausola sulle eccezioni). Se la donna avesse dato alla luce migliaia di bambini (come ad esempio l'ape regina), allora lei non sarebbe stata così egoista e avrebbe considerato tutti i figli degli altri come se fossero suoi, cioè si sarebbe preoccupata prima di tutto del genere, ma con una coppia di bambini lei non ha altra scelta. Insieme all'egoismo va anche la parzialità e la mancanza di oggettività della donna, e questa non-oggettività è elevata a tale altezza, che per essa esiste un termine speciale chiamato “amore di madre”. E questo amore è altrettanto ingiusto quanto la vita che noi viviamo! Poiché la nostra vita è una serie di coincidenze, o giochi di geni, di cui non si dovrebbe essere ritenuti responsabili, essa è anche del tutto ingiusta verso la gente, perché essi vengono lodate e punite per cose che dipendono, non tanto da loro stesse, quanto da ciò che è geneticamente collocato in loro, così che se le femmine non fossero tanto ingiuste verso gli stranieri e parziali verso la propria prole, da compensare le difficoltà della vita, allora almeno il 90 % dei bambini nelle famiglie avrebbero vissuto come negli asili per senzatetto, perché almeno cosi tanti di loro sono bambini ordinari di mezzo (e anche ritardati e inetti) e, quindi, non ci sono ragioni per mostrare a loro un amore speciale. Sicuramente anche gli uomini sono parziali verso i propri figli, anche se questo di solito non si traduce in ingiustizia verso gli altri e non sconfina nell'odio verso di loro, né diminuisce il bisogno di punizione dei propri figli, ma si basa sulla logica (che se essi non possono insegnare qualcosa di utile ai figli dei altri, allora essi possono insegnare almeno alla propria razza).

Tutti i pensieri della donna, guardando obiettivamente, provengono dal grossolano egoismo e dalla convinzione che lei è migliore e più bella delle altre donne, che i suoi figli sono i migliori, che suo marito è il: più intelligente, più ricco, più forte, e così via (o almeno egli è obbligato ad essere tale), laddove ciò arriva al limite dell'invidia e dell'odio per tutto ciò che è estraneo. Si può affermare con certezza che una donna autentica è motivata nelle sue azioni innanzitutto dall'invidia verso gli altri e dall'odio verso di loro! Se lei vuole qualcosa, questo è perché qualcun altro già ce l'ha e non ha niente di meglio di lei (a suo avviso). Anche a possedere un uomo è per lei motivo di orgoglio personale, che è riuscita ad attirarlo e non lo ha lasciato a qualcun altra; la ben nota gelosia è una caratteristica prevalentemente femminile (anche se essa può riscontrarsi anche tra gli uomini), perché due uomini molto più facilmente avrebbero condiviso una donna tra loro, se necessario, che due donne un uomo (anche dal punto di vista fisiologico quest'ultimo è più difficile). L'egoismo della donna non ha eguali e questa è una caratteristica molto conservativa, che potrebbe avere un effetto negativo su una forma ragionevole di organizzazione nella società (per quanto tale forma possa esistere), ma esso è necessario per la continuazione della specie! L'unico modo per superare questo (ammesso che sia necessario) è il concepimento artificiale extrauterino, che avrebbe dato l'opportunità di eguagliare la parzialità verso i figli da parte dell'uomo e della donna. Non c'è nulla di sorprendente se ciò accade dopo un secolo o due, ma fino a quel momento la donna rimarrà l'individuo sociale più egoista, più malizioso, più ingiusto, e più anarchico, qual è conseguenza del suo conservatorismo negli obiettivi di vita (come anche della assenza di una caratteristica maschile molto importante, alla quale noi arriveremo nell'analisi dell'uomo). Questo non è né buono né cattivo — questo è semplicemente una capacità naturale (o dovuto a Dio, se vi piace meglio così) dello stile di vita bisessuale e può essere facilmente osservata anche negli animali, dove, ad esempio: la cagna abbaia più di tutte (e anche morde), e questa malizia vale anche per gli altri mammiferi; la femmina della mantide religiosa (un insetto) divora l'esemplare maschile dopo la fecondazione per assicurare a sé e ai posteri gli ormoni necessari; la lascivia femminile degli persone e degli animali supera quella maschile (e il desiderio sessuale è una manifestazione egoistica), eccetera.

 

Un'altra importante caratteristica femminile è la sua massima vicinanza alla fonte della vita, o all'animale, cioè la sua natura animalesca. Anche l'uomo, come animale pensante, sembra essere un animale, ma in lui esiste tuttavia qualcosa di intellettuale, qualcosa che viene da Dio, che non è presente negli animali, mentre la donna è la varietà più bestiale degli uomini, e questo non è un gioco di parole ma una singolarità rimarcata molto tempo fa (e fissata in tutte le religioni). Questo spiega anche perché la donna è la parte più brutale, più senza scrupoli, più lussuriosa, più selvaggia, e più primitiva dell'umanità, cosa che non è né cattiva né buona, ma solo una necessità! Se la donna non mangia l'uomo dopo l'accoppiamento, come ad esempio questa mantide, o non lo mette nella pentola dopo essere stata impregnata da lui per garantire successivamente il latte materno per il bambino, questo non significa che lei non può deluderlo e lasciarlo quando lui sarà vecchio, o povero, o caduto in disgrazia, o dopo che lei avrà smesso di amarlo, cioè dopo che lui ha adempiuto al suo scopo (e nella maggioranza dei casi i divorzi e le querele per il mantenimento dei figli oggigiorno viene avviato dalla donna, non dall'uomo, e questo nell'era dell'emancipazione, quando le donne vincono non meno degli uomini). Nella maggior parte dei casi questa è una reazione normale, per la cura dei posteri, ma a volte si arriva al cosiddetto “istinto della chioccia”, che nel tentativo di scaldare i polli sotto di lei ogni tanto schiaccia qualche di loro. È vero che anche l'uomo può occasionalmente comportarsi come una donna, ma per lui questo non solo accade raramente, per lui la reazione stessa ha un carattere più civile e arriva, di regola, a un certo grado di indifferenza, dove invece per una donna vale la regola: dall'amore all'odio, qual è la reazione animale più primitiva all'aumento dell'irritazione emotiva (vedete “Sulla Creazione”), così che le conclusioni rimangano valide per una donna tipica o media.

 

4. Un'altra qualità femminile, che è anche conseguenza del suo conservatorismo nella continuazione del genere, è la sua mediocrità e imperfezione. La continuazione della vita è l'obiettivo più importante in natura e essa non può essere affidata ad un individuo straordinario, perché nessuno (anche il Dio stesso) può prevedere a cosa ciò potrà portare quando passa un po' di tempo, ma poi sarà troppo tardi per migliorare le cose! La mediocrità è requisito obbligatorio per la scatola di nascita e questa è conseguenza inevitabile di un sistema riproduttivo ben organizzato. Negli esseri umani questa caratteristica è abbastanza mascherata (a causa, presumibilmente, dell'intelletto degli uomini, che avevano preferito diffondere alcune invenzioni e complimenti graditi alle donne), ma tra gli animali è ovvio che l'esemplare maschio è chi deve essere (e egli è) più bello e attraente con qualcosa, per esempio: il cervo — con le corna, i canarini — con il canto, il pavone — con la coda, i tori (e anche gli uomini) — con la forza, e così via. E ora confrontiamo la donna per un periodo più lungo, diciamo, da 15 a 75 anni, con l'esemplare maschile per ogni età — solo tra i 15 e i 25 anni si potrebbe dire che la donna è la più bella, ma questo è principalmente per ragioni erotiche, e il punto è discutibile, mentre un uomo sembra attraente a 40 anni, a 50, e a 70, semplicemente come una perfetta creazione naturale.

La femmina è solitamente ordinaria e mediocre: nell'apparenza, e nell'intelletto, e nella forza, e in altri aspetti, ma questa mediocrità, d'altra parte, perché significa “nel mezzo”, è proprio questo, ciò di cui lei ha bisogno per resistere più facilmente alle condizioni di vita normali (e anche qualche estreme), per riuscire a fissare nei posteri le caratteristiche essenziali di quei maschi che sopravvivono, perché, come negli animali, così anche negli esseri umani, le femmine sono gli esemplari più durativi. Questi sono fatti confermati sperimentalmente e statisticamente. Se qualcuno preferisce rimanere illuso sulla questione è un suo diritto, ma questo fenomeno ha una facile spiegazione basata sul fatto che è la femmina a fare la scelta, cioè lei gioca il ruolo attivo nella continuazione del genere, mentre il maschio fa questo, quello che la femmina vuole che lui faccia! Cinicamente o no ma il maschio è la figura obbediente (e sciocca se voi volete) nella continuazione del genere, mentre la femmina è l'esemplare mediocre, che sceglie per sé l'individuo eccezionale (come sceglie un bel fiore per ornarsi), e questo è un requisito del tutto giustificato.

La mediocrità della donna si esprime innanzitutto nel fatto che ella è un individuo imperfetto o non ancora finito (ciò che linguisticamente deriva dalla stessa radice), intendendo le sue caratteristiche fisiche, psichiche, e intellettuali. Questo lo sente anche la donna stessa, quando da millenni ricorre a vari mezzi per abbellirsi o “make up” (truccarsi, almeno così dice questa parola inglese, che è infatti francese, per aumentare, sollevare, aggiungere qualcosa), e il fatto che anche alcuni uomini si truccano — beh, questo si spiega con le loro qualità femminili (soprattutto nell'adolescenza quando l'individuo non è ancora completamente formato), ciò che noi abbiamo toccato all'inizio. La donna non può esistere senza un uomo, perché le mancherà lo scopo della sua esistenza, mentre l'uomo può tranquillamente fare a meno della donna, procurandosi prodotti vitali, come anche riempiendo il suo tempo con alcune attività creative o di gioco. In quanto la donna è la scatola di nascita dell'uomo, essa è anche la sua appendice e non ha un'esistenza indipendente, cioè essa è incompleta e imperfetta! Ma d'altra parte lei è una scatola di nascita del tutto perfetta, cosa potrebbe essere parafrasato così: la donna è perfetta nella sua imperfezione come individuo indipendente! E qui noi possiamo non toccare l'intelletto dell'uomo, per non sminuire la validità della nostra recensione anche per gli animali, ma anche perché l'essere umano è di quelli a cui non piace molto usare il proprio intelletto, se può farne bene senza di esso.

Ebbene, ma per evitare che l'autore venga accusato di dire solo cose compromettenti per la donna, diciamo anche qualcosa di buono (almeno secondo lui) — una bella definizione, migliore di questa della scatola di nascita, e cioè che: “la donna è la cassetta postale dell'uomo ai suoi posteri”. Nonostante che l'anatomia femminile abbia qualche foro (solo che esso è più elastico di quello delle vere cassette postali), e la sua “cassetta” è inizialmente ben sigillata (per proteggerla dalle condizioni meteorologiche e di altro tipo prima dell'uso), il significato di questa frase non sta nell'analogia geometrica, ma innanzitutto nel ruolo di intermediario della donna, perché l'uomo non può da solo inviare la sua “lettera” (anche se lui possiede una speciale “penna” per scrivila), così come anche nel suo posto intermedio tra lui e i bambini — intermedio nel senso dell'intelletto, ma anche di altre capacità. Proprio questa posizione intermedia della donna è importante per l'educazione della prole, almeno finché i figli sono piccoli, cosa che non soddisfa né la personalità ricercante dell'uomo, né è conforme alle sue capacità. Inoltre, dal punto di vista genetico, l'uomo è colui che determina la caratteristica più importante della prole — il sesso — e che, molto spesso, ha geni dominanti (sebbene anche qui possano esserci delle eccezioni). Quindi il ruolo di intermediario è necessario (quando noi non ci moltiplichiamo per gemmazione e clonazione) ed anche una certa specializzazione è necessaria, perché se ogni individuo umano fosse bisessuale allora i rapporti più spesso avrebbero avuto carattere auto-riflessivo, e questo avrebbe notevolmente diminuito la diversità così necessaria nella natura.

 

II. L'uomo

 

Nel nostro seguito la descrizione delle caratteristiche dell'individuo maschile (il vecchio Yang o Jang) si riduce essenzialmente alla negazione di quelle del femminile, ma, tuttavia, queste concezioni richiedono una certa elaborazione.

 

A differenza della femmina, il maschio è innanzitutto personalità cercante (searching personality), che, con molti momenti rischiosi, mira a garantire non la continuazione, ma l'evoluzione della specie, cioè la sua modificazione in conformità con il cambiamento delle condizioni esterne. Tenendo conto che la produttività dell'uomo è tale, che anche con il modo “convenzionale” di riproduzione un esemplare maschio può generare centinaia e migliaia di figli, e con la fecondazione artificiale arriviamo ormai a milioni, risulta che la necessità di uomini è almeno cento volte inferiore. Per gli animali quest'ultima cosa è assolutamente valida e lì un maschio si occupa di decine di femmine, dove i cacciatori e gli ecologisti trovano giustificato diminuire ancora di più il numero dei maschi. Nei tempi antichi della storia umana la situazione potrebbe essere stata la stessa anche presso varie tribù selvagge, a causa delle dure condizioni di vita e delle numerose battaglie tra di loro, ma in epoca contemporanea nei paesi civili la poligamia è vietata (molto probabilmente per iniziativa degli uomini, per giustificare la necessità di avere tanto uomini quanto donne), ma questo non è del tutto adatto ai posteri. Comunque sia, noi ritorneremo su questo argomento nella prossima sezione, e ora continuiamo con l'individuo maschio.

L'espressione più caratteristica del principio maschile cercante è la sua passione per gioco e questo, infatti, è lo scopo nella vita dell'uomo, a causa di ciò viene eseguita non banale continuazione del genere, ma un'evoluzione. Per l'uomo tutto è gioco, compresa la vita stessa! Voi sapete che in inglese “game” è caccia ma anche gioco, divertimento, perché la caccia è il gioco dell'uomo, o almeno è stato così durante tanti secoli di storia umana, finché non furono inventate le macchine da gioco e, più tardi, i giochi per computer; nella lingua ceca esiste la parola herna, che non significa ... toilette maschile, come alcuni di voi potrebbero aver pensato (dal tedesco Herr), ma sala da gioco, anche se questo è ancora una volta un posto per uomini; e in russo la parola ‘ohota' significa caccia, ma anche forte desiderio, dal punto di vista dell'uomo (perché voi difficilmente avete visto donne ad andare a caccia). E allora cos'è la guerra per l'uomo, se non un gioco pericoloso (o almeno lo era fino alla fine del Settecento, più o meno, quando ha cominciato a scomparire la differenza tra fronte e retroguardia, a causa della non realizzata densità di popolazione — qualcosa di cui parleremo nel saggio “Sulla popolazione”)? E cos'è la carriera per un uomo, se non un interessante gioco sociale? E il mercato azionario? E quante sono le donne (in età riproduttiva, non quando nessuno le conta come donne), che voi vedrete giocare a backgammon, a bridge, a belote, o a scacchi — insomma, esattamente tante da sottolineare l'eccezionalità di queste attività per loro! E non è forse la scienza anche un gioco con i segreti della natura? E altri esempi.

 

Contrariamente all'egoismo femminile qui è presente l'evidente collettivismo dell'individuo maschile, soprattutto da parte degli esseri umani, dove i maschi sono coloro a cui piace riunirsi in grandi gruppi, sia in unità combattenti, sia alle competizioni sportivi, sia in club e caffè. L'uomo, il più delle volte, è colui che è più capace di atti altruistici, di gesti da gentiluomo, di giustizia (o di fair play, come è conosciuto quasi ovunque), e per il quale è stato inventato il termine onore (perché voi sapete benissimo che per le donne questa parola ha un significato completamente diverso). Anche in guerra egli uccide per necessità, non per malizia e odio (o almeno è così nella maggioranza dei casi). Ciò non è difficile da spiegare con la motivazione delle sue azioni, che è quella di rivelarsi con qualcosa di buono davanti agli altri, con qualcosa che viene apprezzato dagli altri, o, almeno, ciò che è interessante per lui, indipendentemente dalle necessità di continuazione del genere (o per guadagno personale). Anche quando l'uomo si mostra egoista lo fa per motivi collettivistici, in nome della famiglia o del gruppo a cui lui appartiene, mentre la donna, anche quando essa mostra collettivismo, lo fa per motivi egoistici, per preservare la sua prole. Questo non è un'apoteosi dell'uomo ma realismo. E si può formulare una frase ancora più forte, e cioè: la donna crea l'amore partendo dall'odio, mentre l'uomo — l'odio dall'amore! Ma non c'è niente da fare: inspiegabili sono le vie di Dio, o la via per l'inferno è lastricata di buone intenzioni, od uno vuole una cosa, ne fa un'altra, e ne viene fuori una terza, perché nemmeno lui ha conosciuto se stesso, come gli antichi saggi greci hanno voluto, né lui può cambiare qualcosa nel patrimonio genetico che gli è stato dato, se non di sottomettersi al dettato del sesso, che richiede che la donna conservi il genere, mentre l'uomo lo integri e lo migliori (se rimane in vita). Questo è un requisito di mutazione minima necessaria nel genere, che funziona con la lentezza dei millenni, ma funziona ancora.

 

Mentre la donna è vicina all'animale allora l'uomo è vicino a Dio, od alla ragione (se non usiamo l'ipotesi di Dio). Questa è una diretta conseguenza di altre caratteristiche dell'uomo e soprattutto del suo intelletto, questo istinto umano sottosviluppato (di cui si parla nel saggio “Sull'intelletto”), mentre in una donna media difficilmente ci si può aspettare un intelletto notevole (almeno più alto del medio), perché essa non ha bisogno dell'intelletto nella continuazione del genere (il sesso può essere qualunque, ma non un'attività intellettuale!). La manifestazione stessa dell'intelletto, infatti, è qualcosa di straordinario e perfetto (a cui parleremo tra poco), ed è naturale aspettarsi che sia posseduta principalmente dagli uomini; il fatto che ci siano molte donne brillanti non significa che questo è un fenomeno frequente ma al contrario, ed è spiegabile nella maggior parte dei casi con altri carenze di quella donna (il più delle volte fisici), che la spingono a cercare un compenso nella sfera intellettuale, perché una donna intelligente e bella è una, hmm, una contraddizione colossale (almeno finché essa è ancora donna nel senso sessuale della parola), e questo è il motivo per cui tali donne sono enormemente onorate (perché la domanda è determinata dall'offerta)! Allo stesso tempo gli uomini intelligenti non sono mai stati particolarmente richiesti, mentre quelli forti, o ricchi, o belli (almeno finché essi sono tali) sono molto richiesti, ciò che vuol dire che l'intelletto tra gli uomini è una cosa abituale (sebbene la situazione non è del tutto disperata anche per gli uomini intelligenti, se oltre a ciò essi sono, ad esempio, anche ricchi). Questo stato di cose è però del tutto giustificato dal punto di vista della divisione delle attività tra l'uomo e la donna, dove la donna rimane più vicina all'animale, da dove veniamo, e l'uomo cerca di avvicinarsi all'intelletto divino, verso il quale noi, a poco a poco, ci muoviamo.

 

4. L'uomo, non solo a causa delle sue caratteristiche, ma anche per la sua incessante ambizione di esprimersi rispetto agli altri, è il più perfetto ed eccezionale di entrambi i sessi. Questo è, forse, il motivo principale per cui nella religione cristiana (ma anche nelle altre) l'immagine di Dio (o del dio superiore) è sempre immagine dell'uomo, anche se è più naturale che questo sia donna, perché essa crea vita o partorisce (come Gea, nella mitologia greca). È vero che tutti sono convinti che la donna partorisce, ma nessuna religione troverà sostenitori se il suo dio principale non è con l'immagine dell'individuo maschile perfetto, straordinario, e onnipotente. Questo, ovviamente, ha a che fare con il famigerato culto del fallo, che risale a migliaia di anni fa, ma voi potreste immaginare se al posto di questo ce ne fosse uno al corrispondente (si dice omologico) organo femminile? Ebbene, il vostro autore non ha una fantasia così sviluppata e non riesce a immaginare un simile culto. Quindi, per quanto strano possa sembrare, ma le persone hanno ancora un senso di bellezza e armonia! Ma questo, che l'uomo è l'individuo perfetto, non significa che gli uomini siano perfetti sotto ogni aspetto, né che questa perfezione è sempre qualcosa di buono (perché ci sono degli alcolisti perfetti, per esempio). Tuttavia, la regola è che l'uomo raggiunga una certa perfezione in un dato ambito (per cercare, anche se inconsciamente, di trasmetterla ai suoi posteri), mentre l'unica perfezione della donna è la sua mediocrità, come abbiamo sottolineato in precedenza.

Ma questa perfezione porta in sé anche le sue conseguenze, perché gli individui maschili, essendo più vari nell'insieme delle loro qualità, sono anche più suscettibili a fattori esterni come: condizioni climatiche sfavorevoli, maggiore vulnerabilità a varie malattie, anche psichiche, metabolismo più intenso, aggravato dalle dimensioni maggiori, natura più rischiosa del loro lavoro, rispetto a quello delle donne, eccetera. In due parole, ciò significa che proprio gli uomini sono il sesso debole, in contrasto con i deliri molto diffusi (sempre dovuti agli uomini, per adulare ancora una volta le donne), dove “debole” deve essere inteso come una caratteristica media degli uomini. Allo stesso tempo, i risultati record, ad esempio nello sport, nelle scienze, nelle arti, ecc., appartengono tutti agli uomini, cioè ad alcuni uomini, mentre per le attività non estreme le donne sono sicuramente il sesso migliore, ed è per questo che esse sono coloro che sono impegnati in varie attività monotone, spiacevoli, o che non richiedono una capacitàspeciale. Detto altrimenti, gli uomini sono gli individui più specializzati, il che potrebbe portare qualcosa di nuovo nel codice genetico della specie, ed è per questo che bastano pochi uomini (ma tante “cassette postali”).

 

Ma c'è un elemento più sostanziale da parte degli uomini, che, sicuramente, non è rappresentato tra le donne (ed è per questo che noi non ne abbiamo parlato lì), e questo è il senso delle proporzioni! Questo ha a che fare con la ragione, o anche con la saggezza, perché nel nostro mondo contraddittorio la cosa più importante è trovare il punto di equilibrio necessario, qualcosa che era già noto nell'antica Grecia (e anche prima) — lo slogan “Niente eccessivo!”. Questo è un tipo di istinto, che ha qualche analogo nelle donne — la cosiddetta “intuizione femminile”, che è ancora una volta su base istintiva (ma essa è solo una cosa simile, senza corrispondere completamente al senso delle proporzioni, perché le donne, di regola, non ce l'hanno) — e questo istinto è molto importante per realizzare azioni corrette, cioè ben equilibrate (perché arrivare agli estremi può anche un imbecille). Forse sarà interessante spiegare qui perché l'uomo (di regola) ha il senso delle proporzioni, e la donna non lo ha (ed è per questo che essa è la più: lussuriosa, crudele, e così via la “più” persona)? Ebbene, la risposta è direttamente correlata ai ruoli di entrambi i partner nel sesso, dove è noto che la donna ... può sempre (diciamo, 15-20 coiti al giorno, chiedo scusa, non avrebbero causato particolari difficoltà), mentre l'uomo — a volte può, ma a volte no! Ciò, che l'uomo non sempre sia in grado di farlo, volenti o nolenti, lo costringe (fin dalla tenera età) ad abituarsi a cercare la giusta misura anche in cose del tutto diverse; questo non avviene consapevolmente, ma diventa un'abitudine, un istinto, dove la donna non ha tale impulso interno e per questo essa sa solo desiderare (se fossero questi uomini, se fossero vestiti, se fosse essere insoddisfatta di tutto). E se dopo tutto quanto qui esposto risulta che per l'uomo sono state dette soprattutto cose buone, mentre per la donna solo cose spiacevoli — beh, e cosa voi aspettate che vi dica un cinico?

 

III. I genitori

 

L'ultima sezione è dedicata all'unione tra questi due tipi di individui diametralmente opposti dagli animali bisessuali, ovvero alla coppia di genitori, ai loro reciproci rapporti nell'instaurazione dell'equilibrio dinamico tra loro nell'interesse della continuazione e dell'evoluzione della specie. Nel saggio “Sull'umanità” noi spieghiamo che la società non ha ancora un sistema nervoso, e l'unico forte legame naturale tra gli individui che la compongono è la coppia di genitori (potremmo dire coppia matrimoniale, ma l'esistenza del matrimonio religioso o legale è non necessario). Tali coppie esistono in tutti gli animali bisessuali (e anche lì, dove esiste una sorta di organizzazione, come ad esempio nelle api), ma non è necessario capire esattamente per un individuo di entrambi i sessi — basta capire che le cellule sessuali che diventano inseminate (se si tratta di questo, ovviamente, ma questo è quello che si suppone) sono sempre due diverse, anche se non è importante come sia avvenuta questa situazione. Questa coppia, però, è l'unità più stabile della società umana, e il fatto che la stessa parola “individuo” (individuum) in latino significa “indivisibile” non deve indurre noi a pensare erroneamente che la più piccola unità indivisibile sia anche la più piccola unità stabile. Le domande che sorgono qui sono generalmente le seguenti.

 

1. Constatazione della superiorità di uno dei sessi, ovvero: chi “dirige lo spettacolo”? Lasciamo da parte gli insetti e gli altri mammiferi e concentriamoci sugli esseri umani. In generale esistano due varianti di governamento: di uno dei sessi, o altrimenti una sorta di, come si dice, divisione verticale delle funzioni, cioè delle sfere di governo di ciascuno di essi. Se c'è una persona che governa, resta anche la questione di chi esattamente, e se c'è una divisione verticale, allora anche in questo caso è necessario un certo controllo di supervisione su questa divisione, per cui questa variante è anche la più difficile da realizzare, richiedendo di decidere chi sarà il supervisore. Con la variante classica di un uomo e una donna si esclude ogni altra possibilità di voto o di costituzione di un organo dirigente. Inoltre, il governamento stesso è giustamente da dividere in due tipologie, e cioè in: strategia, o determinazione della linea generale, e tattica, o governamento immediato delle azioni, così come in un governo democratico esiste un organo di pianificazione strategica o di determinazione dei requisiti (il Parlamento), e autorità governative (il Governo). Ma essa, la democrazia contemporanea, è un vero disastro (vedete “Sulla democrazia”), perché il Parlamento non è solo un organo strategico ma anche legislativo, il che significa che esso svolge anche attività tattiche (a fare le leggi richiede maggiore professionalità), così come anche i Ministeri possono in linea di principio essere organi tattici, ma questo senza i Ministri eletti (che normalmente non sanno niente del settore specifico), per cui sarà meglio prendere come esempio una grande compagnia, dove un gruppo mantiene il denaro e di conseguenza determina la sua strategia, mentre un altro esegue la produzione vera e propria (commercio, ecc.). In questo senso si può dire che c'è un amministratore nascosto o dietro la scena, così come uno che prende la decisione stessa — e questo è il caso anche con le coppie matrimoniali. La strategia qui, ovviamente, è determinata dalla continuazione del genere o della specie, e la tattica — dal suo sviluppo! Ciò rende inequivocabilmente la donna la stratega della famiglia e l'uomo — il tattico!

Storicamente guardando le cose, negli stadi più antichi della società umana è esistito il matriarcato, ma più tardi ovunque si è instaurato il patriarcato, il che si accorda bene con le nostre conclusioni, perché agli albori dell'esistenza umana era più importante realizzare la strategia per la continuazione del genere, mentre in epoche successive ciò era relativamente facile, ma è venuta alla ribalta la necessità di adottare tattiche corrette per il miglioramento della razza umana (o genere, nazione). Detto altrimenti: il matriarcato è esistito quando la vita era molto difficile, mentre più tardi, quando essa è diventata più facile, si è instaurato il patriarcato! Per quanto sia assurdo insistere sul fatto che la vita nei tempi attuali è più dura di quanto lo fosse nel primitivo sistema comunitario, è chiaro che ora e nel prossimo futuro il patriarcato sarà il modo migliore per governare le famiglie, ma ciò non significa che la donna cessa di essere la stratega o la governante nascosta, o il “collo”, come dicono alcuni (se l'uomo è il capo) — solamente che oggigiorno la tattica è più importante ed è per questo che l'uomo-tattico arriva al potere. Ciò non impedisce all'uomo, che svolge anche il ruolo di supervisore, di scegliere una sfera di attività in cui la donna sarà la governante, ad esempio nell'educazione della prole in giovane età (o nei lavori domestici). E non è obbligatorio che il governamento sia inevitabilmente gerarchico, è possibile che ogni livello modifica le funzioni dell'altro livello (eterarchia). Governare, del resto, non è una cosa facile, così che chi ha paura di questo, allora lui o lei potrebbe non contrarre il matrimonio, alla fine.

 

Il momento successivo è la proporzione quantitativa tra i due sessi: o essere uno a uno, o uno a molti (e chi sarà l'uno), o molti a molti — realisticamente tutte le varianti sono possibili (e vengono applicate ripetutamente), così che noi li esploreremo in successione.

 

a) Cominciamo con la variante classica e omologata in tutto il mondo civilizzato “uno a uno”. Questo, che qualcosa sia ampiamente diffuso, ovviamente, non dovrebbe essere un criterio per la sua giustezza e opportunità (proprio come per molti secoli in medicina è stato ampiamente applicato il salasso, sia a scopo profilattico — con una specie di vermi chiamati sanguisughe, sia a scopo curativo — attraverso il taglio dei vasi sanguigni, senza che ciò abbia oramai alcun fondamento scientifico), quindi astraiamo da ciò che è accettato al momento e indaghiamo un po' i vantaggi e gli svantaggi di questa proposizione. Dal punto di vista dell'uomo questa è una scelta abbastanza buona, perché ad ogni uomo viene assegnata una donna, e questo è meglio di niente! Lo stesso vale anche per la donna, anche se essa avrebbe preferito, eventualmente, avere 4-5 maschi, ma il sesso non è l'unico momento nella continuazione del genere, e poi il cosiddetto “harem del sultano” è molto di più inadatto a lei, affinché essa possa sopportare questa situazione. Dal punto di vista della natura, ovvero della necessità di continuazione e sviluppo del genere, questa è una buona variante, soprattutto se abbinata alla possibilità di divorzi e all'emancipazione (a ciò torneremo tra poco). Quindi, nel complesso, la variante comunemente accettata è abbastanza buona da poter essere utilizzata anche in futuro.

 

b) La variante successiva è un uomo per molte donne, o “harem del sultano”, che è la variante peggiore per l'uomo medio (cioè se egli non è un sultano o non ha abbastanza soldi per comprarsi una decina di donne), perché la particolarità del caso è che esso non si applica bene con un paio di donne — essi molto probabilmente si gratteranno gli occhi, e l'uomo sarà costretto a comprarne poi altri — mentre con dieci o più, le donne, nel loro desiderio di odiarsi, si confondono e col tempo imparano ad andare d'accordo, perché il sultano, del resto, li visita piuttosto raramente! Questo approccio è stato applicato con maggior successo dal re biblico Salomone, il quale, come si dice, ha avuto migliaia di mogli e concubine ed è comunque riuscito a farcela. Se un uomo non ha abbastanza soldi per donne, e quindi per la continuazione del suo genere, allora nessuno gli impedisce di arruolarsi nell'esercito e in questo modo a diminuire un po' l'affluenza degli uomini nel paese; oppure gli resta il sesso omogeneo per consolazione. Ma se questo metodo va bene almeno per gli uomini benestanti, allora esso è il più inadatto per le donne, perché esse vengono usate raramente (in passato, ogni tanto, un eunuco aiutava un po', ma questo era solo un sostituto, qualcosa come, ad esempio, il caffè decaffeinato — ha un gusto simile ma l'effetto non è lo stesso). Dal punto di vista della continuazione e dello sviluppo del genere ciò sarebbe stato positivo se fosse stato ovvio che gli uomini ricchi sono anche i più dotati sotto l'aspetto geneticoe di altro tipo, ma questo non è così, per cui anche in questo senso tale variante non è accettabile. Qualche modificazione è possibile se in modo particolare (ad esempio con l'eutanasia) viene diminuito il numero degli individui di sesso maschile, e meglio ancora se tramite diagnosi tempestiva del sesso del futuro bambino (intorno al primo-secondo mese di gravidanza) e successivo aborto indolore viene mantenuta una proporzione tra uomini e donne pari a uno su dieci. Se questo viene fatto in modo casuale la natura sarà più o meno soddisfatta, gli uomini, essendo molto pochi, rimarranno soddisfatti, ma le donne, ancora una volta, si troveranno nella situazione peggiore, anche peggiore che nell'harem (perché non ci saranno eunuchi). Quindi, tutto sommato, non è un male che questa variante venga rifiutata dalla società contemporanea, perché essa presenta più inconvenienti che vantaggi.

 

c) La terza variante è reciproca a quest'ultima ed è “harem di uomini”, se possiamo chiamarlo così. Per l'uomo non c'è niente di buono in questo, anche se è possibile applicare il metodo della condivisione del tempo (time sharing) nel servire la donna da parte dei maschi — a patto che il loro numero e la continuazione del ... ciclo di lei siano reciprocamente numeri primi (se usiamo il linguaggio della matematica — per non risultare che il perdente è sempre uno e lo stesso uomo), ma si può usare anche qualche raggruppamento in gruppi permanenti o variabili di uomini. Per la donna questa variante è abbastanza buona, ma va detto che qui è preferibile se il gruppo non supera i 4-5 uomini, per evitare complicazioni maggiori e spargimenti di sangue tra di loro. Dal punto di vista delle esigenze naturali, tuttavia, qui si tratta di puro uso eccessivo di “materiale di semina”, e alla natura piacciono le decisioni eleganti! Anche qui è possibile la modificazione con la diminuzione della percentuale di donne, cosa che renderà questo metodo il migliore per tutte le donne, ma gli altri svantaggi restano. Così che questo metodo, nel complesso, è il peggiore di tutti quelli discussi finora e forse è per questo che oggi esso non viene applicato, ma non si presenterà alcuna necessità in futuro, non si può dire con certezza.

 

d) La quarta variante di “molti a molti” ha diverse varietà, perché un “molti” può non essere uguale all'altro, ma in quanto ciò non apporta particolari cambiamenti nell'osservazione noi considereremo pari (o quasi) quantità di uomini e donne. Tali comunità esistono presso alcune religioni (i mormoni, se non mi sbaglio), quindi questa non è pura astrazione, e inoltre, in questo modo si allevia la questione della superiorità, dove può esistere qualche organo di governo della comunità. Dal punto di vista dell'uomo questa è una variante abbastanza buona, dove per la continuazione e lo sviluppo del genere è la migliore di tutte. Questo metodo può essere applicato, ad esempio, da due famiglie attuali, e non è che questo non avvenga a volte. Esiste anche una varietà buona per una grande casa con appartamenti, o per un ingresso in essa, dove i tre piani bassi sono occupati da bambini di tre età (a cominciare dalla scuola materna), poi segue il piano con la cucina comune e la sala da pranzo (c'è possono essere anche piccole cabine — perché no?), e sopra queste seguono modesti appartamenti per ogni uomo o donna. In questo modo noi arriviamo, di fatto, a qualche modificazione della Repubblica di Platone, dove tutti i bambini dovevano essere comuni e proprietà della nazione. Con questa variante della “casa grande” si possono facilmente avere a disposizione anche stanze per gli ospiti, così che la somiglianza con l'ideale di Platone diventa piena. In questo modo può finalmente realizzarsi facilmente il sogno del francese, cioè: andando per la strada avere tutte le ragioni per accarezzare ogni bambino incontrato — perché, chissà, potrebbe capitare che egli sia suo? Nonostante il carattere comico della situazione, non c'è nulla di innaturale in questo caso, tranne che questo non è ancora stato accettato, ma ciò potrebbe diventare realtà tra un paio di secoli, sullo sfondo di una crescente emancipazione e di un eventuale concepimento extrauterino in futuro.

Se le caratteristiche principali dell'individuo maschile e femminile cambiano e si equalizzano, restano valide solo le esigenze di sviluppo e di miglioramento della specie, che vengono a sostituire la forma classica di appartenenza dei figli alla madre e di cura solo della propria posterità (per i figli questa variante sarà peggiore, ma nulla impedisce a qualche madre di prendersi cura anche del proprio figlio, se essa riesce a trovare abbastanza tempo per questo). In una società sufficientemente sviluppata ci sono tutte le ragioni per supporre che l'unità minima (la famiglia al momento) crescerà ulteriormente, comprendendo una parte sempre maggiore della società (sebbene essa possa anche ridursi a un solo genitore, dove noi, a quanto pare, ci stiamo muovendo), e in questo modo creerà i presupposti per una maggiore organizzazione in essa, perché l'obiettivo di ogni sistema è organizzarsi meglio.

 

Consideriamo infine anche la questione dell'emancipazione della donna, che è un processo ancora frainteso. Originalmente questa parola significa liberazione o fuga della donna (dal giogo dell'uomo) e questo è il giusto trattamento, ma le donne non sono tra quelle che iniziano a pensare molto, e spesso perdono anche il senso delle proporzioni (per quanto ce l'hanno), in modo che essi non abbiano motivo di irritarsi quando qualcuno (come il vostro autore) le chiama emancipatesses — perché è così che si deve costruire correttamente un sostantivo di genere femminile (in francese) dal verbo “emancipare” (ma il punto qui è che il sale della parola inventata in bulgaro — ‘emanzipatka' — è che la fine ‘patka' come una parola intera significa … un'oca, un'anatra). Quindi questi Emanze (ora secondo i tedeschi), nel peggiore dei casi (che esse non osano ammettere, ma tuttavia la pensano così) immaginano che questo movimento serva per stabilire la superiorità delle donne o il matriarcato, quello che noi abbiamo brevemente spiegato è assurdità motivata da nulla, e nel migliore dei casi intenderlo come uguaglianza della donna con l'uomo, ma cercare un'uguaglianza dove la natura ha creato la più grande differenza possibile (Jang — Jin) può entrare nella testa solo di una tipica donna, perché questo contraddice il buon senso! Si può parlare di uguaglianza davanti alla legge, o per parità di posizione della donna con l'uomo, che è una grande conquista del 20-mo secolo, anche se questo ha scosso vigorosamente varie norme stabilite nella società, ma questo era inevitabile, uscendo dalla i numerosi cambiamenti sociali e l'aumento del tenore di vita in tutto il mondo. Ma sia chiaro che una reale parità di posizionamento della donna con l'uomo può portare tutt'al più a … dimostrare la sua disuguaglianza con l'uomo!

In generale, quando si parla di uguaglianza questo significa anche che, ad esempio: la donna deve anche essere soggetta al servizio militare, quando lo è l'uomo; l'uomo deve anche imparare ad allattare, o altrimenti la donna deve rinunciarvi (quest'ultima cosa è ormai diventata un fenomeno di massa); che l'uomo deve imparare a partorire, quando la donna fa questo (cosa che, secondo la radio Erevan, non è ancora avvenuta, ma gli esperimenti continuano), o, ciò che è più facile, anche la donna deve cessare di farlo (che non è affatto una chimera con possibilità di concepimento extrauterino); che in caso di divorzio i figli non dovrebbero essere dati di regola alla madre (come prevede la legge romana), ma solo le femmine a lei mentre i maschi — al padre (se essi hanno, diciamo, più di tre anni), dove le madri pagano gli alimenti alla pari dei padri; che le donne devono praticare gli sport maschili insieme agli uomini; e altre cose simili. Molte di queste cose sono possibili anche adesso, e altre — ancora nel prossimo futuro, ma il punto è che da questo le donne perderanno solo i loro vantaggi femminili e i piaceri della maternità, mentre è molto dubbio che essi guadagneranno qualcosa di più che nuovi obblighi, più difficili per loro a causa della loro natura femminile non ancora trasformata. Sicché la questione qui è molto simile a quanto affermato nel nostro detto riguardo alla rana, la quale, vedendo che stavano ferrando il bue, sollevò anche la gamba.

Finora l'emancipazione ha portato solo all'inclusione attiva della donna nella vita sociale (la democrazia, in linea di principio, è un governo “femminile”, ma di questo si parla nel saggio corrispondente) e nella produttività (mentre prima il suo lavoro non veniva vistoapertamente), come anche alla disgregazione delle famiglie (ancora non del tutto ma con evidente tendenza in questa direzione), e perfino all'omosessualità più spesso espressa (perché quando la donna non ha bisogno dell'uomo, allora anche lui può in qualche modo fare a meno lei), e a vari paradossi qua e là, ma sembra che non sia servito a nulla per alleviare davvero la vita della donna, quello che avrebbe dovuto essere lo scopo dell'attività. E oltre a tutto ciò, quando esiste l'uguaglianza (o anche quando se ne parla), risulta che anche l'attaccamento emotivo (capite, l'amore) diminuisce notevolmente, perché esso si basa principalmente sulle differenze, sugli opposti, sulla complementarità! Qui non si tratta della “philia” legata alla famiglia, che è un sentimento forzato dalle circostanze di appartenenza a un gruppo, ma della vera simpatia, passione, amore, bisogno o desiderio, greco agapè, e così via, che non sorge mai tra persone uguali — per la semplice ragione che si vuole fortemente ciò che non si ha; ciò è di solito legato al sesso, ma non sempre, e anche lì, o almeno nel caso classico (e finora considerato l'unico decente), le cose si riducono anche a “è — non è”, “1” o “0”. L'uguaglianza, se essa non porta a qualche sentimento collettivo (e negli ultimi tempi noi cominciamo a non gradire più di tanto le indicazioni collettive e cameratesche), può tutt'al più condurre alla rivalità e alla lotta per la superiorità (ciò che non è, e non potrà mai diventare meta di qualche gruppo eterogeneo, per non dire famiglia o coppia sposata); e anche nel gruppo più collettivo si ripropone la lotta per la supremazia. Quindi, se noi vogliamo cancellare le differenze tra i due sessi, noi dovremo fare a meno anche dell'amore e della simpatia, e allora nemmeno il sesso ci aiuterà (come sostituto delle emozioni più forti), perché lì anche esiste la disuguaglianza.

Ebbene, la situazione non è del tutto disperata e c'è da aspettarsi (la speranza sostiene la vita) che, passata l'iniziale ebbrezza di eccessiva libertà, le donne riusciranno a sentire fin dove arrivare e se esse guadagneranno qualcosa dall'eguaglianza con gli uomini, perché, come era detto sopra, la famiglia è ancora necessaria (finché la società non avrà proposto una migliore unità minima), e anche il patriarcato è la migliore forma di governo in essa. L'importante è rendersi conto che l'ingerenza nell'“opera di Dio” di continuazione del genere può causare disastri ben più grandi dell'inquinamento ambientale e qui deve essere maneggiato con molta attenzione, e ancor meglio se non si tocca nulla, limitandoci solo ad alleviare i momenti dolorosi della vita e lasciare il cesareo a Cesare, il maschile all'uomo, e il femminile alla donna.

 

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SULL'UMANITÀ

 

L'umanità è la quantità di persone che vivono sul nostro pianeta, ma sia a causa del fastidioso errore di Dio, sia per saggezza divina, o allora di necessità casuale, questa quantità di persone è estremamente disunita. Le persone sono disperse sul globo terrestre quasi allo stesso modo in cui la polvere spaziale è dispersa nello spazio interstellare — qua e là ce ne sono un po' più che in altri luoghi, tra loro ci sono alcune forze di attrazione e repulsione, in modo simile a quella gravitazionale, lì c'è un certo livello di organizzazione e strutturazione, come in ogni tipo di materia, c'è dinamica ed evoluzione, ma tutto questo è ben lontano dall'essere sufficiente per poter parlare di un organismo. I legami tra le unità indivisibili, chiamate individui (individuum in latino), sono in uno stato molto rudimentale, e le persone sono una sorta di terminali intelligenti — capaci di azioni indipendenti, ma legati in qualche modo senza fili nella società — solo che loro più spesso funzionano in “modalità autonoma”, e se nel corpo di un animale ogni organo lavora da solo, allora questo organismo darà incessantemente difetti. Ed è proprio questo, infatti, ciò che fa la nostra società, a partire dal momento della “discesa dall'albero” e fino alla fine del maledetto 20-esimo secolo, perché l'umanità, ahimè, non ha ancora imparato a vivere come un intero organismo.

Non è necessario un genio speciale per accorgersi che l'universalità dell'essere umano è un'arma a doppio taglio, con le cui lame noi ci tagliamo costantemente. Il meccanismo universale è conveniente quando si devono svolgere diverse attività, ma esso è al massimo inefficace in relazione a ciascuna di esse! Questo avrebbe dovuto essere ovvio e noi abbiamo parlato di questo argomento nel saggio “Sulla creazione” (nella parte sull'uomo), così che un Dio un po' più intelligente avrebbe dovuto trovare un modo per predisporre le funzioni di individui diversi dal momento stesso della loro nascita. Questa predisposizione avrebbe dovuto essere entro certi limiti, permettendo la sostituzione e la competizione tra loro, ma non di tutti con tutti, dove nella società umana solo nel campo della riproduzione esiste una rigida divisione in due classi, così che due uomini, ad esempio, per quanto essi ci provino, non possono produrre prole. Senza una certa fissazione delle funzioni di ciascun individuo nella società non può esistere il funzionamento unito di tutti all'interno della comunità, non può esistere un organismo, noi non possiamo raggiungere la perfezione. E questo ci porta a pensare che l'umanità è qualcosa di abbastanza nuovo per la natura (o per Dio, se lo preferite così) e che le cose devono ancora essere sviluppate e migliorate, costringendo il sorgere e il passare in eredità di alcune differenze più sostanziali tra gli individui (oltre quelle razziali e proprietarie), che dovranno portare anche maggiore armonia in futuro. Ma guardiamo di conseguenza alla società (con i suoi inconvenienti), e alla civilizzazione (che cerca di superarli).

 

I. La Società

 

La società, dilaniata dagli interessi egoistici dei suoi membri, non possiede i vari attributi di un organismo completo, e per questo motivo non differisce molto da qualsiasi raccolta di specie animali specifiche — lupi, lepri, pesci, locuste, ecc. — o, più precisamente, ha le caratteristiche di ciascuno di questi gruppi (in quanto l'essere umano è animale universale). Più specificamente, la società non ha

 

1. Specializzazione. Ciò significa che la società non ha una propria intrinseca differenziazione delle attività, per cui ogni individuo, già dal momento della sua nascita, sa quali sono i suoi specifici diritti e doveri, e a quale gruppo egli appartiene, cioè chi sarà nei servizi, chi nella produzione tecnica, chi nell'agricoltura, chi creerà e distribuirà l'arte, chi governerà le masse, chi si occuperà delle scienze, chi dello sport, e chi dell'istruzione e dell'educazione della prole, e così via. Se noi usiamo ancora una volta lo stesso esempio con il sesso, allora lì tutto è preciso e chiaro, anche se ovviamente esistono alcune differenze ed eccezioni, ma essi non hanno un impatto significativo sulla crescita della popolazione (qual è l'obiettivo in questo caso). La decisione ideale qui presuppone una classificazione su tipi psico-fisiologici, in cui il livello di appartenenza a ciascuno di essi deve essere verificato periodicamente (diciamo tra 5 o 10 anni) con test che si siano giustificati. Se oggi ciò sembra ancora fantasia, dopo un secolo questo può diventare realtà, almeno sulla base di statistiche più approfondite, analogamente agli zodiaci, che, pur essendo prevalentemente “magia nera”, in molti casi sono indicativi, perché trattano abilmente alcune statistiche imprecise compiute in tempi antichi (ricordiamo che le costellazioni non assomigliano affatto alle loro immagini stilizzate, ciò che dice che non i caratteri sono definiti dalle costellazioni, ma le costellazioni sono chiamate così per via dei caratteri dei nati sotto il loro segno!).

Questa idea, come vediamo, non è certo nuova, e se l'umanità si pone l'obiettivo di risolverla (almeno con sufficiente precisione) allora non ci sono difficoltà principali, perché ormai noi non dubitiamo che i geni, comunque, servono esattamente a stabilire i confini delle possibilità di sviluppo di ciascun individuo. In questo caso il compito si riduce alla decodificazione precisa dell'informazione genetica codificata, che offrirebbe immense prospettive per lo sviluppo personale. Tali test devono essere utilizzati prima dell'inizio di qualsiasi istruzione e presi in considerazione nominando al lavoro, ma avendo inizialmente solo carattere di raccomandazione, finché non saremo convinti della loro veridicità per un lungo periodo di tempo. Ciò, naturalmente, avrebbe agevolato notevolmente anche l'assistenza sanitaria, così come la prevenzione della criminalità (nella quale direzione sono stati fatti molti sforzi, ma da ciò, che essi si sono rivelati infruttuosi, non consegue che la direzione non sia giusta). La specializzazione degli individui non significa immediatamente differenze nella loro apparenza (perché raramente si usano direttamente le proprie membra nella attività lavorativa), ma nella propensione dell'individuo ad un dato tipo di attività. L'intera sottigliezza sta nel fatto che questi test possono funzionare fin dalla prima infanzia, se non dalla crescita uterina.

Più avanti la società non ha

 

2. Organizzazione. Ciò significa che nella società umana non è chiaro chi deve comandare chi. Per gli animali la questione si risolve facilmente applicando il diritto del più forte, ma per gli esseri umani, poiché la forza ha diversi aspetti — fisico, morale, economico, intellettuale, e altri — le cose stanno piuttosto male e causano quasi tutti spargimenti di sangue nella storia umana. Non ci sono possibilità che questa domanda venga risolta in tempi brevi, a causa dei benefici del potere, e, naturalmente, la sua decisione radicale consiste solo nel togliere i privilegi del potere e trasformarlo in una sorta di attività lavorativa, come ogni altra. Alcuni inizi di decisione, tuttavia, esistono, perché il management (la gestione) è esattamente scienza per la gestione (per quanto, in ogni caso, essa può essere osservata come scienza), ma fino a quando il manager dipende dal capitale e riceve benefici addizionali dal potere stesso (oltre al suo salario) egli non sarà un vero manager. Una questa osservazione non ha nulla a che fare con le concezioni aristocratiche, o razziste, o altre concezioni simili riguardo alla classe o alla nazione “scelta” (da Dio), che predicano una volta per tutte, e trasmessa per eredità, divisione predeterminata delle persone in governatori e governati, né questo presuppone privilegi di un gruppo rispetto all'altro. Ciò non contraddice nemmeno le tendenze democratiche secondo cui i benefici del potere devono essere distribuiti da coloro che non ne traggono profitto direttamente (cioè i governati a scegliere i propri governanti), ma richiede la divisione del potere tra persone capaci di svolgere questa attività.

Per quanto questa questione al momento rimanga nella sfera della fantasia, nulla ci impedisce di offrire una decisione del genere, vale a dire: l'intera gestione tattica, cioè secondo leggi date e obiettivi strategici concreti, deve essere messa nelle “mani” dell'intelligenza artificiale, che non ha ragioni per essere egoisticamente parziale. In questo caso ogni membro della società saprà fin dalla nascita che non è nato per governare, e allora non gli resterà altro che ascoltare e obbedire — tanto semplice quanto è ingegnoso, non è vero? In ogni caso, però, non può esistere organismo in cui la questione della superiorità dell'uno o dell'altro organo non sia decisa in anticipo. Se noi usiamo una metafora della zoologia si può dire che la società umana nel suo insieme non ha praticamente alcun sistema nervoso e assomiglia alla medusa o al verme, che hanno alcuni inizi di organizzazione, poiché possono muoversi in una direzione particolare, ma il più delle volte essa è scelta arbitrariamente, o questa è la direzione di minor resistenza! Diversi più piccoli gruppi di persone, come tribù, nazioni, o stati, hanno un livello di organizzazione più elevato, possono fissare obiettivi e realizzarli, ma l'intera società, ancora, non ha imparato come farlo, per il semplice ragione che essa non ha predeterminati per la sua natura organizzazione o struttura. Questo è un momento estremamente importante e finché non verrà trovata una soluzione la società umana (come anche ogni altra comunità animale) manterrà l'apparenza di medusa, ma non mostrerà nulla di veramente umano.

E ricordiamo che non è necessario che la gestione sia sempre gerarchica, può esistere anche eterarchia, o divisione dei poteri secondo l'area di governo, o qualche alternanza nel tempo, o voto comune su diverse questioni, o scelta arbitraria utilizzando alcuni lotti, e altre varianti. L'importante è che questo venga deciso una volta per tutte nella società, e non: erano appena trascorsi un paio di secoli e si facciano rivoluzioni (cioè rivoltare le cose, o mettere la società con i piedi sopra la testa; da questa radice deriva la parola rivoltella). La rivoluzione è il modo più duro per apportare cambiamenti nella società e parla solo dell'incapacità del sistema esistente; essa non fornisce alcuna garanzia circa la ragionevolezza del nuovo ordine, né propone una transizione ragionevole ad esso! La democrazia contemporanea per lo più “getta polvere negli occhi” del popolo con le sue vanterie, ma qui si tratta solo di una decisione temporanea, che non è nuova (ma risale a 26 secoli fa), ed è un compromesso della democrazia greca classica con il governo dittatoriale (vedete “Sulla democrazia”). Il fatto che noi torniamo oggi a qualcosa di prima di così tanto tempo ci porta alla conclusione che questo ha molti difetti, per cui la questione non è affatto risolta ma rimane aperta! Tuttavia, essa è più facile da risolvere all'interno di un dato paese, dove per l'umanità nel suo insieme il caos è quasi lo stesso che c'era ai tempi dell'antica Babilonia.

Poi la società non ha anche

 

3. Ragionevolezza. Qui si ritiene che la ragionevolezza nel comportamento della società, almeno fino ad ora, è stata inferiore al livello medio degli individui che la compongono (ciò è un'affermazione a priori e difficilmente dimostrabile, ma altamente plausibile), e, ovviamente, molto inferiore a quella dei suoi membri più intelligenti! In altre parole, noi possiamo affermare che la società soddisfa la legge di diminuzione della ragionevolezza, o di aumento del caos, per questo motivo la grande quantità di persone prende, di regola, la decisione più “stupida”! Va aggiunto che questa legge dipende in modo significativo dal numero di persone, dove un gruppo piccolo può talvolta prendere la decisione giusta, ma asintoticamente, con l'aumento della comunità a centinaia e migliaia (ancora di più a milioni), la sua eterogeneità porta alla graduale soppressione della voce della ragione, ovvero il suo “rumorizzazione”, utilizzando un linguaggio tecnico. Se noi andiamo nella direzione opposta, cioè alla diminuzione del gruppo di persone, noteremo anche una certa diminuzione della ragionevolezza delle loro decisioni da parte di gruppi molto piccoli (di una-due persone), ma ciò è dovuto al più basso livello medio degli individui e non per l'effetto del gruppo. Questo ci porta alla conclusione che esiste un numero ottimale di individui, in grado di prendere decisioni giuste, e questo numero coincide con, hmm, ... il numero delle nostre dita (eventualmente sommando anche quelle dei piedi)! Noi potremmo chiamare questa regola legge dei piccoli numeri e ciò è facilmente spiegabile con le capacità della psiche umana, per cui ci si può abituare a lavorare bene solo con un piccolo numero di persone (o il miglior livello di conoscenze noi vogliamo avere, nel più piccolo gruppo di persone noi dobbiamo cercarlo). Comunque sia, questo è ben noto e per questo motivo la maggior parte delle commissioni vengono scelte in un numero di 10 - 15 persone. La società, ahimè, supera notevolmente questo numero ottimale ed è per questo che la ragionevolezza delle sue decisioni è qualcosa di praticamente irraggiungibile.

Se noi cerchiamo le cause di questa soppressione della ragione delle masse noi arriveremo alla radice del male, cioè all'autonomia dell'individuo, il quale, per poter manifestare il libero arbitrio, deve avere una certa convinzione nelle sue decisioni. Ma questa convinzione si può ottenere, sia attraverso la ragione, sia attraverso un'ingiustificata fiducia in sé stessi (cioè mancanza di ragione), se noi non confondiamo qui gli istinti (o il “richiamo della foresta”), che esistono anche presso gli animali, e qui noi osserviamo, in fondo, la società umana. Questo è abbastanza elementare e, sicuramente, una decisione giusta dal punto di vista del Creatore, ma se noi monitoriamo le cose a livello dei singoli individui, mentre a livello dell'intera società ciò produce grossi problemi. E in realtà, se le persone più elementari, non dotate di particolari capacità di pensiero, fossero consapevoli della loro incapacità di prendere le giuste decisioni, allora essi soffrirebbero permanentemente di un complesso di inferiorità, e per questo motivo quando non si può giustificare logicamente le proprie azioni (o capire quelle degli altri), si limita ad agire come ritiene opportuno e a negare le considerazioni logiche. Ciò non è ingiustificato nel caso generale, perché la logica dell'uomo comune è spesso imprecisa, per cui, anche se egli si è sempre basato sulla essa, gli errori non sarebbero stati rari. In ogni caso, però, quanto più una persona è semplice, tanto più essa difende i suoi errori, perché essi sono suoi e essa insiste su di essi (vedete anche “Sulla democrazia”), e per questo la gente comune ha sempre messo a tacere i suoi grandi personalità. Sembra da tutto che questa è una contraddizione insormontabile e ogni soluzione può essere solo di compromesso, ma tale soluzione è necessaria per rendere la società qualcosa di più di uno sciame di locuste, per esempio, perché se esiste qualche tratto umano che lo rende diverso in qualcosa dalle specie animali, questa avrebbe dovuto essere la ragionevolezza del suo comportamento, e il criterio ragionevole, naturalmente, deve essere il livello minimo di sofferenze e crudeltà nella vita umana. Dal punto di vista della natura questo anche sarebbe ragionevole, perché lo scopo della vita è continuare la vita, e se ciò può avvenire con meno sprechi di materia biologica, allora questa è una decisione più economica e, quindi, preferibile.

 

II. La Civilizzazione

 

La civilizzazione, nel suo sviluppo, ha cercato incessantemente di superare i “no” della società, spiegati nel capitolo precedente, cioè la mancanza di specializzazione, organizzazione, e ragionevolezza in essa, che sono conseguenze della mancanza di predeterminazione degli individui, e ha cercato e cerca di avvicinare la massa degli uomini a un organismo completo (e diciamo che in questo capitolo noi useremo un significato collettivo della parola “civilizzazione”, cioè tutte le civilizzazioni precedenti). Ciò essa, ovviamente, non è riuscita a farlo, sia a causa del livello inferiore di conoscenza a cui siamo arrivati, sia a causa della difficoltà di risolvere le contraddizioni tra la società e l'individuo, messe in ognuno di noi. Gli esperimenti, però, continuano e continueranno fino a quando esisterà questo orgoglioso animale bipede, che si definiva intelligente, perché la vita è un esperimento accidentale nell'Universo, il cui unico significato è vedere ... se altri esperimenti devono essere fatti.

Così, ad esempio, nei suoi sforzi per raggiungere l'intero organismo, la civilizzazione impone la necessità dell'educazione, e questo non solo come strumento per comprendere il mondo, ma anche come mezzo per una specializzazione (cioè una restrizione) degli individui al fine di ricevere una conoscenza più approfondita in un dato campo. La civilizzazione impone anche la necessità di una qualche organizzazione nella società, che deve simulare il sistema nervoso degli organismi e costringere gli individui a fare non solo ciò che essi vogliono, ma anche ciò che è utile per tutti gli uomini. Fin dall'antichità, però, era noto il metodo radicale di organizzazione, che esiste anche tra gli animali, e cioè: il diritto del più forte, o la centralizzazione del potere in singole mani, o la forma gerarchica di governo; come erano noti anche gli inconvenienti di questo metodo, ed è per questo che si sono cercate altre forme, che non siano così militari. Questo, infatti, dice il nome stesso “civilizzazione”, che significa un certo governo civile, con specializzazione e divisione dei poteri, dove ciò è possibile. La civilizzazione impone anche una ragionevolezza nella società, che deve essere, per quanto possibile, superiore alla rumorosa ragionevolezza della folla, e contenere l'esperienza e le conclusioni delle più grandi menti del loro tempo. A questo scopo essa scopre e diffonde le religioni che, usando qualche forma di delusione, riescono a far le masse uscire un po' dalla propria pelle e cominciare a sentirsi parte dell'intera Creazione. Grazie alla civilizzazione si sono sviluppate anche le arti, che propongono agli uomini un'occupazione intellettuale in più e un metodo per evitare i loro nudi istinti animali, e allo stesso modo per abbellire la loro vita. Si sviluppano anche le scienze come quintessenza dell'intelletto umano, e gli sport, come culto della bellezza e della perfezione fisica, e altre cose.

La civilizzazione, in generale, è l'unica cosa che riesce a trasformare la società umana in qualcosa di diverso dall'aggregazione di tutti gli animali di una determinata specie, solo che essa ha troppi difetti per essere considerata ben fatta! Se noi torniamo all'etimologia della parola dobbiamo ammettere che fino ad oggi non esiste una sola forma di governo veramente civile, perché non esiste uno Stato o una comunità in cui non esistano un esercito e delle forze per il mantenimento dell'ordine interno, che non sono affatto strutture civili ma militari. Oltre a ciò le relazioni reciproche tra i paesi continuano ad essere stabilite dalla posizione di forza, sebbene questa forza non sia sempre militare, ma può essere anche economica, per esempio. La civilizzazione ideale, ovviamente, deve essere uno Stato mondiale, con il suo governo immutabile che mantiene lo status quo (cioè la stagnazione), che deve essere realizzato con una dose sufficiente di intelletto (non necessariamente umano), in quale Stato deve esserci una precisa specializzazione delle attività secondo la costituzione genetica degli uomini, e che deve mirare all'equilibrio di tutte le specie biologiche e all'armonia con la materia non vivente. Gli sforzi principali, però, della forma di governo democratica contemporanea non vanno nella direzione dell'unità del genere umano, ma nella direzione della sua frammentazione in unità autonome, ciò combinato con tentativi di minimizzare il loro confronto, vale a dire non alla strutturazione, ma a un maggior grado di libertà dei gruppi (Stati) e degli individui, cosa non è un movimento nella giusta direzione! Ciò si spiega con il fatto che le libertà democratiche vengono propagate soprattutto dai paesi più forti e sviluppati, così come dai governanti di un dato paese, nel qual caso essi, inevitabilmente, difendono gli interessi delle loro comunità, non dell'intera società umana.

Dopo queste osservazioni più generali sulla civilizzazione ci concentreremo su alcuni ambiti tematici ben definiti della sua attività, discutendone i problemi concreti e le eventuali modi per la loro soluzione. Molte tesi possono sembrare fantastiche dal punto di vista della nostra vita quotidiana, ma di fronte a problemi così globali noi non abbiamo il diritto di limitarci alla realtà attuale, ma dobbiamo applicarne una visione della natura delle cose più ampia e onnicomprensiva, partendo dall'obiettivo. Inizieremo con la contemporanea

 

1. Medicina. Essa è ben lontano dal suo obiettivo: ad eliminare le sofferenze del corpo umano, proponendo un modo moderato di usura o di invecchiamento, e rivelando tutti i talenti nascosti della persona. Tale deve essere l'etimologia della parola stessa, la cui radice latina è “medi”, che significa “mezzo”, e deve essere formata sotto l'influenza dell'antica concezione greca della moderazione in ogni cosa. Nonostante il fatto che la medicina contemporanea è molto più avanti rispetto al livello di due secoli fa, ad esempio, essa non propone ancora lo stile di vita più ragionevole, in base alle caratteristiche dell'ndividuo, ovviamente. Il potere principale della medicina oggigiorno si basa sul potere dei farmaci, ma questo potere è un'arma a doppio taglio e la questione non è: come combattere le malattie, ma come prevenirle o fare in modo che l'organismo possa combatterli da solo, dopo che li abbiamo già contratti. La maggior parte delle vittorie della medicina consistono nell'eliminare le malattie imposte dalla civilizzazione o, almeno, averne ricevuto ampia diffusione per sua stessa colpa! Le epidemie di massa, alle quali noi siamo riusciti a far fronte negli ultimi due secoli, hanno avuto origine ai tempi di Babilonia, a causa dell'irragionevole aggregazione di grandi masse umane in un unico luogo, e sicuramente non erano così diffuse al tempo dell'uomo delle caverne, per esempio. L'AIDS nel nostro tempo trova particolare diffusione anche nell'era delle comunicazioni di massa e dei contatti sessuali promiscui (anche se il sesso intertribale ha avuto i suoi svantaggi). E che dire delle malattie cardiovascolari e dei tumori maligni, che sono causa di oltre la metà dei decessi? Prima le persone morivano, diciamo, per un singolo taglio al dito, ma oggi muoiono semplicemente perché vivono nelle città, non in mezzo alla natura! L'influenza dannosa della civilizzazione sulla salute umana è pienamente commisurabile al contributo positivo della medicina, così che, nel complesso, gli uomini non riescono ancora a vivere fino all'età consentita loro di un secolo. ( A proposito, la parola russa ‘chelovek', che significa uomo, secondo l'etimologia popolare, più spesso è stata considerata come combinazione delle parole ‘chelo'-fronte, che forse non è presente nel russo contemporaneo, ma esiste nelle lingue slave, dove è venuta dal latino, perché si può trovare in italiano e nella musica — cello —, e il russo è molto vicino al latino nel suo vocabolario e nella grammatica, più la parola ‘vek'-secolo, che dirà: su ciascuna fronte un secolo. )

La durata media della vita è sicuramente aumentata moltissimo nel 20-esimo secolo, principalmente a causa della diminuzione davvero eccezionale della mortalità infantile nei paesi civilizzati, così come anche al significativo miglioramento delle condizioni di lavoro, e questi sono grandi risultati della medicina, che noi non dobbiamo ignorare. Allo stesso tempo, però, mentre l'intervento chirurgico taglia un organo danneggiato e non lo guarisce né lo sostituisce, la medicina sarà ben lontana dall'obiettivo. Ma la lucertola può far crescere la coda strappata, non e vero? — quindi alcuni meccanismi nascosti esistono anche nei nostri geni e noi dovremmo essere in grado di far crescere una nuova mano o un nuovo piede! Lo stesso si può dire anche sulla stomatologia, che non ha ancora imparato come indurre l'organismo a produrre un nuovo dente al posto di quello malato o caduto — quando ciò accade una volta nella nostra vita, ciò può accadere anche una seconda volta! La nicotina e l'alcol sono ben noti veleni per l'organismo, ma la medicina non ha ancora trovato dei sostituti, cioè qualcosa di così innocuo (quasi non dannoso per la psiche, al contrario di gran parte dei farmaci moderni), ma ciò ha un effetto quasi istantaneo; e questo effetto è ad ampio spettro, il che significa che se noi vogliamo dormire, una sigaretta (o un bicchiere di vodka) ci farà sonnolenza, ma se noi abbiamo da fare un lavoro importante allora la stessa dose aumenterà la nostra capacità lavorativa — perché qui si tratta di prodotti naturali che costringono l'organismo ad affrontare da solo la situazione, non bloccano i suoi sforzi, come fanno la maggior parte dei farmaci! Le persone longeve (oltre 100 anni) oggi sono appena (in percentuale) più di 10 - 20 secoli fa, e essi sono tali non perché usufruiscono dei servizi della medicina ma a prescindere da essa, o addirittura malgrado di essa. I principali meriti della medicina odierna risiedono nel prolungamento massiccio della durata della vita delle persone, ma ciò non fa altro che aumentare la sovrappopolazione del globo terrestre (vedete “Sulla popolazione”), e in molti casi (soprattutto alla fine della sua vita) semplicemente si soffre più a lungo, il che pone all'ordine del giorno la questione “Sui danni dei benefici”.

 

2. La giurisprudenza, o giustizia, è una sorta di malinteso della civilizzazione, perché il suo scopo avrebbe dovuto essere quello di creare e applicare norme uguali per tutte, al fine di proteggere la società dagli elementi dannosi per essa, così come di prevenire la criminalità, ma guardando l'assurdità della giustizia contemporanea si arriva involontariamente alla conclusione che gli antichi monarchi, che hanno giudicato senza alcuna legge, in molti casi hanno preso decisioni più giustificate di quelle che si osservano nei processi legali dei nostri giorni. Quando uno commette qualche reato o delitto questo non è perché egli non sappia cosa è giusto e cosa no — forse egli non conosce la lettera della legge, ma egli sicuramente ne conosce lo spirito (altrimenti, almeno oggi, le leggi sarebbero state studiate ancor prima che i bambini abbiano imparato a leggere e a scrivere) — ma perché spera di “passare tra le gocce”, cioè di superare in astuzia gli altri, e allora la giurisprudenza è solo “acqua al mulino”, concedendo favori al sistema giudiziario! Se uno giudica personalmente, egli almeno rappresenta se stesso (o si presenta male) in conseguenza di ciò, e quando giudica secondo leggi preparate in anticipo, allora egli, di fatto, non giudica ma semplicemente riceve il suo salario per il rispetto di determinata (ben pagata) procedura

Sicuramente è chiaro il motivo per cui si è arrivato a questo distacco del giudice dalla decisione stessa — tutti gli uomini sono egoisti (o peccatori, se usiamo la terminologia religiosa), e quando è così è meglio decidere quale deve essere la punizione prima conoscere il reato concreto, che giudicare la punizione solo in base alla situazione e alla personalità del delinquente. Considerando le cose logicamente questa è una decisione giusta (cioè l'idea è comprensibile e corretta), ma essa semplicemente non è implementata correttamente nella realtà, perché se il giudice non deve essere parziale nella causa allora lui deve anche non sapere chi sta giudicando, così come il contrario — il delinquente non deve sapere da chi viene giudicato! Themis solo nelle immagini viene mostrata con una benda sugli occhi, ma avete mai visto qualche giudice con gli occhi bendati e la maschera? Al massimo lui può mettersi una parrucca per maggiore vanità, ma non per restare sconosciuto. Inoltre, se si vuole ricercare la verità, questo deve essere fatto indipendente dai benefici materiali. Ma perché allora vengono ammessi gli avvocati pagati nelle cause legali (e pagati proprio dall'interessato e in relazione alla causa concreta)? E qualcosa di più: se ogni caso concreto non può essere previsto a priori nelle leggi, ma sono previste solo situazioni tipiche di reato, mentre la colpevolezza nel caso concreto viene accertata nel corso del processo, allora la parola decisiva deve essere data ad una selezione arbitraria della popolazione, non a funzionari retribuiti. Ma anche nei paesi la cui legislazione sceglie i giurati per ogni caso tra le file del popolo, essi possono essere respinti da ciascuna delle parti, e questa ora non è una scelta arbitraria ma una parodia di essa; oppure si cerca una decisione unanime (nelle cause per omicidio negli USA, per esempio), e questa non è una situazione naturale che porta ad una decisione obbligatoria. Da un punto di vista obiettivo risulta che l'unico elemento positivo della giurisprudenza odierna è la concezione dei pubblici procuratori come difensori degli interessi dei cittadini, perché lì le considerazioni mercantili sono ridotte al minimo.

In ogni caso, le vie per migliorare la situazione sono chiare, per cui diciamo innanzitutto cosa si può fare nel prossimo futuro — questo è l'introduzione di alcune assicurazione giudiziaria condizionatamente gratuita, cioè pagata in anticipo, allo stesso modo in cui esistono assicurazioni mediche e di lavoro, e gli avvocati di entrambe le parti devono essere nominati dall'autorità giudiziaria secondo una procedura stabilita. Se gli avvocati-advocates sono solo una sorta di “traduttori” dalla lingua naturale a questa delle leggi (add + voce, in latino, cioè una specie di megafoni), e non meccanismo per l'ottenimento di vantaggi finanziari personali per ciascuna delle parti (come è la situazione in questo momento nelle cause civili), questa sarà una decisione del tutto legittima (e anche per le cause penali). Il fatto stesso, che può essere confermato da ogni avvocato (per non parlare della gente comune), che la causa legale viene vinta dall'avvocato migliore, significa che lo scopo del procedimento non è l'accertamento della verità ma il combattimento personale (per trarne dei benefici) degli avvocati, come anche di ciascuna parte nella causa. Se quanto qui proposto non è ancora entrato nella pratica, ciò è solo perché le leggi le fanno i giuristi e essi non sono così sciocchi da “tagliare il ramo” su cui sono seduti! I giudici, inoltre, devono essere chiamati semplicemente presidenti del tribunale (o uscieri, se volete), perché essi non giudicano se stessi, ma si limitano solo a monitorare il rispetto delle regole. Insieme a queste misure, in tutti i casi in cui ciò è possibile, la procedura giudiziaria deve essere semplificata e sostituita solo con giudici, ma senza avvocati, e anche con alcuni sistemi computerizzati (cosa che già comincia a essere fatta in alcuni paesi) — si tratta di agire con sanzioni pecuniarie, procedimenti di divorzio, e persino cause finanziarie e civili di primo grado. L'ultima istanza, in ogni caso, deve essere un tribunale nazionale, dove a scegliere il numero corrispondente (7, 11, 15, o 21, per esempio) di giurati provenienti da un pool di dimensioni considerevoli, ma nel giorno della causa e entro metodo arbitrario, che esattamente dovranno dire la loro su ogni punto dalle accuse formulate dal presidente, e la decisione, che dovrà essere mantenuta anonima, da intendersi tramite votazione, e/o tramite media dei voti (insieme alla loro eventuale pesatura quando sono presenti più opzioni).

La tendenza futura dovrà essere quella di eliminare sempre più l'essere umano dai processi giudiziari e di utilizzare, almeno nei casi inferiori, una certa intelligenza artificiale e imparziale. Il presidente del processo, se e dove egli è umano, deve essere separato il più possibile dalle parti, dove essi non si vedono, non si sentono, non si conoscono, ma comunicano tramite terminali in stanze diverse, e non dovrebbe nemmeno essere consentito loro di usare i loro veri nomi ma di alcuni nomi condizionali come: accusato, accusatore, testimone_No1, e così via. Nei casi superiori, dove le decisioni devono essere prese da giurati scelti arbitrariamente, queste anche non devono essere conosciute dalle parti della causa e devono rimanere anonime. In casi particolarmente gravi dovrà essere prevista come ultima istanza anche una procedura informatizzata per un voto nazionale (a seconda dei punti dell'accusa) tramite schede telefoniche, o tramite rete terminale. Queste sono cose che saranno realizzabili ovunque dopo circa mezzo secolo, se la civilizzazione deciderà giustamente se i tribunali debbano restare solo eventi spettacolari per il popolo, da cui ciascuna parte, e gli stessi ufficiali giudiziari, traggono vantaggi personali, o sono obbligati a diventare strumenti di condanna imparziale delle azioni e dei delitti antisociali.

L'altra variante è quella di istituire veri e propri tribunali giudiziari, ma senza leggi e punizioni — per infrazioni più leggere — qualcosa che noi chiamavamo tribunali “dei compagni” sotto il totalitarismo (non che essi funzionassero molto, a causa della totale penetrazione in essi delle idee guida del Partito e la selezione deformata delle persone, ovvero dell'opinione manipolata delle persone). In ogni caso, questa non è un'idea fittizia e può essere eseguita anche tramite terminali, in modo che la persona possa rimanere anonima, così come i suoi giudici. In questo modo noi avremo qualche variante della confessione, che è usata da secoli da alcune Chiese, e, quindi, è psicologicamente del tutto giustificata per il delinquente, e per quanto riguarda il ruolo dei confessori noi possiamo star certi che ci saranno sempre abbastanza persone che vorranno essere incluse in quel circolo, perché le persone sono molto indiscrete (non curiose) e tutto, che è un segreto, sarà interessante per loro. Anche in questo caso nessun ostacolo, tranne la volontà delle persone.

 

3. La gestione della società è la pietra principale su cui da millenni la civilizzazione inciampa, perché è chiaro che non si può fare a meno di un forte governo centrale, né senza il feedback della gente, ma tutte le forme hanno insieme ai loro vantaggi anche i loro svantaggi. È chiaro che bisogna trovare qualche compromesso, perché altrimenti il punto di mezzo ... si raggiunge di nuovo, ma nel tempo, cioè attraverso il cambiamento incessante dell'una forma con l'altra (qualcosa che è molto simile al tremore muscolare dei vecchi)! La democrazia contemporanea è una di queste varianti di compromesso, ma essa presenta troppi difetti, sui quali però noi non ci soffermeremo qui, perché essi sono ampiamente discussi nel saggio “Sulla democrazia”. La futura gestione della società sarà comunque una qualche forma di democrazia, ma in essa non va esclusa una certa dose di intelligenza artificiale. Quindi, andiamo ora al punto

 

4. L'educazione, che è un'enorme acquisizione della civilizzazione, ma che ha due aspetti contraddittori, vale a dire: l'ampliamento della nostra conoscenza del mondo in cui viviamo, così come la restrizione dell'esaminazione in una determinata area dell'oggetto stretta, per il suo studio più approfondito! Questo non è un paradosso ma una conseguenza elementare della limitazione delle nostre capacità. Ricordiamo che il significato negativo, acquisito molto tempo fa, della parola “scolastica”, deriva dalla parola latina (e dal antica greca) per scuola (o ‘shkola' in russo, o Schule in tedesco) e dice proprio qualcosa che può essere imparato a scuola; è vero che le prime scuole furono nei monasteri, ma il disprezzo verso questo tipo di conoscenze deriva non affatto da posizioni di ateismo, ma dalla percezione dell'inutilità e della ristrettezza di molte discipline educative, e sottolinea che non sempre il “istruito” è quello giusto. In ogni caso, la psiche imparziale dei bambini in molti casi pensa in modo più razionale rispetto alle persone con una certa educazione, e quanto più alta è l'educazione, tanto più limitata e professionalmente deformata diventa la loro capacità di pensare, mentre non sono affatto rari i casi di alcune persone autodidatte con una conoscenza più ampia e veritiera della vita. Io non posso trattenermi dal citare qui il noto aforismo di Oscar Wilde, il quale dice che: “Questo, ciò che bisogna imparare, non si può imparare, e questo, ciò che si può imparare, non c'è molto bisogno di impararlo!”. (Ciò vuol dire che questo, che si vuole sapere — ad esempio, quale biglietto della lotteria comprare per vincere, o quale ragazza sposare per diventare felice, o a quale partito aderire per avere successo nella vita, et cetera — non c'è modo di imparare, e questo, quello che si può imparare, è già noto e quindi non vale la pena riempirselo la testa). In questo senso non c'è alcun pericolo (se qualcuno di voi si è preoccupato di questo) che l'educazione renderà le persone molto intelligenti (educate — sì, ma questo non è la stessa cosa), ciò che, nella maggior parte, è giusto, perché in una società deve essere mantenuta una proporzione ragionevole dagli uomini più intelligenti, o saggi, ai più mediocri, anche se con educazione terziaria in una data area ristretta.

Ciò che si apprende a scuola o all'università sono soprattutto dei dati fattuali che permettono allo studente di unirsi a qualche gruppo professionale, o a qualche “gregge”, perché proprio questo dimostra l'analisi della parola inglese “student”, che era formata dalla fusione di stud + end, dove uno dei significati della prima parola è uno stormo specialmente di cavalli (la quale parola è comune slava, ‘stado', e teutonica, da dove deriva il loro attuale Stute come cavalla). In altre parole, lo studente è come un giovane cavallo (o cavalla), che non ha ancora imparato a correre insieme al gregge e per questo motivo è da qualche parte alla sua fine; anche se la seconda parola potrebbe essere solo una desinenza, perché in latino egli è studiosus. Oppure: se noi proviamo a tradurre (meglio in slavo) il tedesco studieren con “stadieren”-greggiare noi non sbaglieremo affatto! E ciò di cui gli uomini hanno bisogno è la capacità di pensare correttamente, ma il pensare è per noi un enigma e un mistero (vedete “Sull'intelletto”) e noi non possiamo capirne fino in fondo i suoi segreti, noi cerchiamo solo a capirne (principalmente attraverso lo studio della matematica a scuola). Per questo motivo l'obiettivo dell'educazione diventa quello di “pomparci” di fatti certi, in modo da poter comprendere un determinato gergo professionale, ed essere utilizzato come strumento di selezione secondo le caratteristiche di ciascuno; è così che bisogna considerare ogni forma di educazione, anche quella obbligatoria. La verifica delle capacità di pensare, ove possibile, si fa e si farà, ma l'insegnamento a pensare, ahimè, manca, perché non è chiaro come farlo.

 

5. Le scienze sono il nucleo della civilizzazione, perché solo la conoscenza può rendere la nostra vita più interessante e felice! Essi, ovviamente, hanno a che fare con l'educazione — attraverso il doppio significato della nostra conoscenza, come anche attraverso il carattere educativo dell'attività dei lavoratori scientifici (al fine di ottenere risorse per il loro lavoro). Tuttavia le scienze significano acquisizione di qualcosa di nuovo, non semplice applicazione di verità già conosciute, dove questo anelito alla verità per la verità stessa, o come si dice anche: per la conoscenza speculativa, è una caratteristica veramente divina dell'uomo (non importa se noi ammettiamo l'esistenza di Dio o la neghiamo). Qualche momento negativo nelle scienze si è verificato soprattutto nel corso del 20-esimo secolo, questo momento è legato alla loro evoluzione molto rapida, cioè rivoluzionaria (perché, naturalmente, il movimento evolutivo — e io avrei detto evolutionario — è preferibile, per il minor numero di cataclismi), ma le cose gradualmente si normalizzeranno, avendo presente l'enorme complessità del nostro mondo, con il quale noi inevitabilmente ci scontriamo scavando sempre più a fondo in ogni direzione. L'immenso volume della conoscenza comincia a entrare in conflitto con il carattere creativo dell'attività scientifica, dove essa diventa una sorta di industria, e questo da parte sua ne diminuisce l'attrattività, quindi è prevedibile che la crescente percentuale di lavoratori scientifici diminuirà continuamente a un livello ragionevole del 2-3 %, ciò calmerà il suo ritmo esplosivo di sviluppo.

In ogni caso, tuttavia, noi non abbiamo il diritto di incolpare la scienza per i nostri difetti umani e per l'incapacità di utilizzare le nuove possibilità offerte. È normale che un bambino che prende per la prima volta un coltello tra le mani possa ferirsi, tanto che non c'è nulla di sorprendente nel fatto che noi “feriamo” noi stessi ad ogni nuova ed epocale scoperta scientifica. In definitiva, le varianti sono due: o l'umanità guarirà e imparerà a usare la nuova acquisizione, o essa si ammalerà e perirà da questo mondo, ma ciò avverrà a causa di difetti innati dell'essere umano e della società, non a causa della stessa scoperta scientifica. È vero che le scienze sono uno degli aspetti più pericolosi della civilizzazione (un momento sostenuto da tutte le religioni), ma essi sono anche uno dei mezzi più affidabili per la realizzazione della società civilizzata, così che: se noi vogliamo la civilizzazione non possiamo fare a meno delle scienze.

 

6. L'industria accompagna inevitabilmente la civilizzazione perché essa fornisce modi per migliorare l'efficacia del lavoro umano in ogni attività di routine. Essa libera più tempo dagli obblighi diretti verso la società, permettendo così una vita più felice delle persone, solo che questa possibilità non sempre viene utilizzata da chi lavorano nel dato settore, ma anche questo non è colpa dell'industria ma dell'ordine sociale. Come ogni cosa smodata, quando si punta troppo sulla produttività industriale, si può arrivare a situazioni non molto positive, che spersonalizzeranno il lavoro umano e trasformeranno le persone in una sorta di animali da tiro per la tecnica, cosa che spesso è accaduta nel 20-esimo secolo. Questo è ben noto e noi cerchiamo di combatterlo, ma la tentazione di raggiungere risultati facili è troppo forte per resisterla. Per questo motivo oggi il nostro cibo è quasi interamente artificiale, così come i nostri vestiti, i nostri divertimenti, e così via. L'industria ha confuso tutta la natura perché per molto tempo noi abbiamo pensato che il punto fosse fare molto rumore e polvere (da dove viene la frase bulgara che “io lavoro in modo che si sollevi polvere”; come anche la parola stessa “industria” si scinde in: in + dust + ry, ciò che dice “qualcosa nella polvere”), e i metodi industriali sono entrati nelle scienze, nelle arti (se noi possiamo chiamare così i surrogati proposti in massa dai media), nello sport, e perfino nel sesso e nella pornografia, e dove altro no. Tuttavia, noi abbiamo cominciato ora a renderci conto che solo l'efficacia non è tutto, e possiamo sperare che in futuro impareremo a usare le cose prodotte in serie solo come sostituti, per risparmiare tempo e denaro, ma non come qualcosa che soddisfa la natura ricercatrice dell'umano. La vita mostrerà se le cose miglioreranno o peggioreranno (prima di migliorare).

 

7. Il commercio e il mercato sono una conquista molto significativa della civilizzazione, sebbene una sorta di scambio di beni è esistita anche nelle tribù primitive. La fissazione dei metalli preziosi come unico equivalente per valutazione di tutti i risultati dell'attività umana è di straordinaria importanza per ridurre lo spazio multi-coordinato dei valori ad una ed unica ordinata. Questa non è sempre una buona valutazione, ma essa consente la comparazione e lo scambio, e l'introduzione di unità monetarie inventate e dotate di un certo valore facilita ora il processo stesso di scambio. La facilitazione è relativa, perché in realtà diventa necessaria anche l'esistenza di un mercato intermedio di valute e valori, ma non c'è bisogno di discuterne perché esso ha le stesse caratteristiche comuni di ogni mercato. I soldi sono qualche sostituto degli oggetti di valore, o “aria calda”, ‘mentè' come gergo in bulgaro, ma questa visione esiste da millenni perché voi sapete che in inglese “mint” è come l'erba menta-mint, anche il luogo dove si fanno i soldi (monetas). Poiché il mercato è il luogo in cui si attua il cambiamento stesso, è naturale che esso cominci gradualmente a dettare anche cosa produrre (per cambiarlo con qualcos'altro). Questa è un'evoluzione naturale delle cose, ma non è affatto la decisione più corretta e ragionevole, perché applica metodi caotici di controllo, e il caos non potrà mai essere una buona decisione nella società! Quindi quella del mercato è una decisione temporanea, in mancanza di una decisione migliore, ma questo non significa che essa è la decisione giusta.

Consideriamo le cose più precisamente, partendo dagli interessi dei produttori e degli acquirenti. Il terzo gruppo di commercianti (dealer, o broker) non è necessario considerare per semplicità, perché essi, collocandosi tra i due gruppi sopra menzionati, svolgono ciascuno il ruolo dell'altro, così che essi non danno qualcosa di principalmente nuovo. I piccoli produttori perdono definitivamente dal mercato, perché non è nelle loro possibilità di analizzarlo e prevederlo; anche i grandi produttori non possono prevederlo esattamente, ma solo a grandi linee (perché se essi avessero potuto farlo, l'intero commercio si sarebbe ridotto all'analisi esatta dei dati, e al livello attuale delle tecniche questo sarebbe stato solo un combattimento tra due programmi per computer, non un'attività intellettuale attraente), ma proprio questo dà spazio alla loro manifestazione. Nella misura in cui il piccolo produttore non può combattere efficacemente il mercato, la sua salvezza è: o unirsi con altri fratelli disgraziati, per guadagnare “massa critica”, dove egli non è così dipendente da esso, o poi lavorare per qualche grosso produttore (o grossista). Ma questi sono solo metodi per soppressione del mercato, non per il suo utilizzo. In altre parole, il mercato è redditizio solo per quel produttore (grossista), che è abbastanza grande (uno su dieci più grande nel settore o nella regione) da influenzarlo!

Simile è la situazione anche con l'acquirente — se egli è piccolo egli perderà quasi sempre, perché mediante verifica successiva non c'è modo di non scoprire che: o egli avrebbe potuto comprare la stessa merce a un prezzo inferiore, o avrebbe potuto comprare merce migliore (o entrambi), oppure, se egli si fosse sforzato di studiare meglio il mercato per non commettere errori, egli avrebbe potuto risparmiarsi il tempo (e anche i nervi) facendo una scelta approssimativa e arbitraria da dove acquistarla (perché in un mercato saturato tutti i prodotti simili sono più o meno uguali nei loro prezzi)! Solo il grande acquirente (compagnia o persona) può vincere sul mercato. La tanto decantata economia di mercato è un puro inganno, ampiamente diffuso dal business su larga scala, cioè un inganno per i piccoli “pesci” (per diventare frittura per i grandi)! Il mercato è il modo più inefficace per regolare la produttività, e ha l'unico vantaggio di essere più adattivo rispetto alla pianificazione centralizzata, ma poiché quest'ultima ha anche i suoi svantaggi, risulta che ogni decisione può essere solo un compromesso! L'attuale decisione di compromesso non è buona, e la decisione ideale è una qualche forma di pianificazione unificata della produzione per le prime dieci (ad esempio) unità più grandi nel ramo, basata sul monitoraggio dinamico della domanda dei clienti, ma con una struttura separata, diversa dalle stesse unità produttive, che deve dare indicazioni, entro certi limiti, sulla quantità e sull'assortimento delle tipologie di produzione, a seconda dei loro indicatori economici, definendo per loro regioni di mercato, ma non escludendo la necessaria concorrenza tra di loro. Non che questo è facile, ma questa è la strada per il futuro.

 

8. La proprietà, soprattutto sui mezzi di produzione, è una questione cardinale, che la civilizzazione, ancora, non è riuscita a risolvere in modo soddisfacente. È chiaro che anche qui la soluzione deve essere il compromesso, perché ci sono sempre state cose che non tutti potevano possedere, così come ci saranno sempre cose che ciascuno dovrà avere, ma ci sono molte speculazioni sulla questione, per cui diciamo anche un paio di parole. La controversia principale tra capitalismo e socialismo (o comunismo) è affatto impostata in modo errato, perché non importa se la proprietà dei mezzi di produzione sia privata o comune, ma se essa è personale, cioè se chi lavora possiede questo, con ciò egli lavora! Da questo punto di vista la differenza tra questi due modi di organizzazione della società svanisce, perché anche nei paesi sviluppati (come anche in diversi ordinamenti sociali, come quelli schiavisti o feudali) solo circa dal 3 al 5 % delle persone possiede questi mezzi della produzione (ma queste coppie di percentuali non lavorano con essi).

La proprietà, da tempi immemorabili, è servita soprattutto come mezzo per esercitare la supremazia di alcune persone su altre e per scegliere governanti (qualcosa che i comunisti chiamano, e non senza ragione, schiavitù del capitale), il che ci riporta nuovamente alla carenze della società, di cui noi abbiamo parlato nel primo capitolo. Con una scelta ragionevole dei governanti (basata sul patrimonio genetico personale, su test adeguati e sulla statistica dei loro successi personali) scomparirà in modo naturale anche la questione della proprietà dei mezzi di produzione e rimarrà solo la divisione della proprietà personale (abitazione, mezzi di trasporto, ecc.) e non personale (o necessaria alla società). Ciò, però, non significa che la proprietà non personale sarà libera o mal gestita (non posseduta), non solo perché essa sarà sprecata, ma anche perché non si potrà lavorare bene per gli altri (come parte dell'organismo sociale) senza alcun grado di costrizione o sfruttamento! Per quanto riguarda questa questione essa viene discussa nel saggio “Sulla giustizia” (così come anche in “Sul futuro”), quindi noi non ci soffermeremo più su questo argomento, ma menzioneremo che una società senza sfruttamento è semplicemente impensabile!

 

9. L'esercito e la polizia, come noi abbiamo sottolineato, non sono strutture civili, ma, per quanto raramente accadono cose pure nella natura, non c'è un solo periodo nella storia della civilizzazione in cui noi siamo riusciti a farne a meno loro. Sembra che questo continuerà ad essere così anche in futuro, benché l'esercito in uno stato mondiale potrebbe trasformarsi in una forza di reazione rapida in caso di disastri naturali (e/o eventuali invasioni cosmiche). Ma la polizia resterà, perché una società senza divieti è impensabile, e quindi ci saranno sempre persone che li violeranno (ciò che, tra l'altro, è visto dalla comprensione romana della polizia come derivata dalla città-polis).

 

10. Le arti sono anche caratteristica comune di ogni civilizzazione, perché esse propongono (in alternativa alla religione) modi per abbellire la nostra esistenza su questo mondo, o una sorta di escapismo (evasione). Ma siccome l'autore non è un uomo d'arte non gli resta altro che ammirarle (beh, se queste non sono cose di massa, ovviamente).

 

11. La religione è un elemento indispensabile della civilizzazione perché le persone sono anime deboli e avranno sempre bisogno di qualche delusione (o inganno) e sostegno (o del necessario “oppio”). Ci sono molte cose da discutere qui, ma noi le salteremo ora, perché c'è un saggio speciale dedicato alla religione.

 

12. I media sono una sorta di alternativa alla religione ufficiale e/o alla propaganda! Il loro potere è cresciuto soprattutto nel corso del 20-esimo secolo, grazie alle possibilità di informazione di massa, ma bisogna sempre tenere presente che qui si tratta di mezzi di manipolazione di massa dell'opinione pubblica (anche se nell'interesse della società stessa), per il semplice motivo che devono essere utilizzati tutti i metodi per opporsi alla legge di diminuzione della ragionevolezza del gruppo, di cui noi abbiamo parlato all'inizio. (Invece di manipolazione avremmo potuto usare la parola “insinuazione” che parla di infilare qualcosa in qualunque “seno”-sinus ciò sia possibile, e se guardiamo in italiano allora la parola per teacher è insegnante, cosa rimanere abbastanza vicino a insinuante, anche se questo non è molto corretto etimologicamente, perché il insegnante viene dal segno-sign, ma forse questa relazione è fatta dal popolo.) Anche qui la decisione raggiunta non è delle migliori, almeno perché i media, finanziati dal grande capitale, difendono sicuramente i suoi interessi, e non quelli delle masse (ma le masse non sempre realizzano bene i propri interessi, il che è deplorevole per loro).

 

Dunque la civilizzazione integra la società umana, sforzandosi di renderla più umana e felice, solo che questo raramente ci riesce perché è difficile mettere la ragione in azione. La società umana non può, per il momento, apparire come un organismo intero, e ancor meno come un organismo ragionevole. Ma non c'è niente da fare perché questo è il materiale con cui noi siamo costretti a lavorare — l'animale inaffidabile, crudele, ed egoista, che può comportarsi in modo ragionevole, talvolta, ma non finché non ha usato tutti i modi irragionevoli per raggiungere l'obiettivo!? Dopo essere apparsi nel mondo, tuttavia, noi non abbiamo altra alternativa se non quella di vivere la nostra vita. Speriamo che ogni nuova generazione farà questo un po' più civilizzato rispetto alla precedente.

 

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SULL'INTELLETTO

 

I. Definizione

 

La definizione esatta dell'intelletto è principalmente impossibile, perché questa è una onnicomprensiva nozione di base, della quale si suppone che ognuno abbia un'idea intuitiva (allo stesso modo in cui non è definito che cosa sia questo Dio, o la materia, per esempio), così che noi ricorderemo piuttosto all'inizio qual è questa idea. Ma volgiamo l'attenzione al fatto che la parola “intelletto” viene utilizzata in contesti diversi, spesso contraddittori, e in altri casi fortemente restrittivi, perché noi siamo inclini ad attribuire intelletto solo agli esseri umani (e da qui anche a Dio, in tutte le religioni), dove diversi animali, così come sistemi artificiali, possono anche mostrare comportamenti intellettuali in molte situazioni. Quindi il meglio, ciò che possiamo aspettarci, è una definizione euristica, che deve comprendere la cosa più significativa, ma senza affermare che essa è completa e incontrovertibile, dove per noi sarà più importante non perdere qualche manifestazione intellettuale, piuttosto che escludere questo, per il quale non è necessario un intelletto speciale.

Nella seconda metà del 20-esimo secolo questa questione è diventata particolarmente importante a causa delle sperimentazioni, alcune delle quali straordinariamente riuscite, di modellazione artificiale dell'intelletto umano. A molti lettori forse è noto il criterio di Turing relativo alla domanda, quando noi abbiamo un sistema intellettuale (computer, robot, o essere umano), che si riduce a questo, che una persona conversa attraverso un canale informativo (terminale del computer) con qualcuno, senza vederlo o ascoltarlo direttamente, così che non abbia alcuna conoscenza di lui, e se dopo un ragionevole lasso di tempo egli non può dire con certezza (o commette un errore) se parla con un essere umano o con un automa, allora egli ha davanti a sé un'intelligenza artificiale. Qui l'accento è posto, da un lato, sulla soggettività della valutazione, e dall'altro, sull'indipendenza dalla base elementare (cellule vive o elementi elettronici). Questo è un approccio giusto, ma esso non ci dice nulla sull'essenza dell'intelletto (tranne il fatto che non esiste altro modo per definirlo). L'idea intuitiva, di solito, riguarda tale attività, che sembra abbastanza complicata, tanto che non tutti gli esseri umani possono realizzarla.

Qualcosa di simile afferma l'etimologia della parola, perché “intelletto” deve derivare dal greco entelecheia (‘enteleheia'), termine coniato e usato nell'antichità da Aristotele come uno dei nomi di energia e significato: attività, energia operante ed efficiente, efficienza di una determinata attività, o semplicemente qualcosa che può accadere, opportunità per qualcosa. In altre parole, l'intelletto è qualcosa di nascosto (nella tela delle cose), qualcosa che non si vede, tranne che non si manifesti in qualche modo, qualche principio di funzionamento della materia (cioè esso non è necessariamente connesso con l'essere umano), cosa che lo fa funzionare correttamente. Ma anche ai tempi di Aristotele questa parola non è caduta dall'alto, e, sebbene fatta attorno alla parola “energia” (‘energeia') come qualcosa di attivo, e come qualcosa di diverso dalla dinamica, essa è ancora abbastanza lontana dall'energia e in greco antico può essere trovato ‘enteleoo' come intero, completo, intatto, ‘enteleia' come integrità, o ‘enteleteoo' come ispirare, eccitare! Ebbene, non che alla gente piaccia molto lasciarsi ispirare dall'intelletto (essi preferiscono piuttosto i film d'azione e i thriller) ma questo è il significato che da secoli viene dato a questa parola; e se noi teniamo conto che in esso è nascosto anche il corpo stesso (più precisamente la radice tele-, che nelle lingue slave significa corpo), cioè quando noi prendiamo da parte il prefisso ‘en' = in (che è molto antico), noi arriviamo all'idea dell'inserimento di qualcosa e dell'unione delle parti in un unico sistema, o delle relazioni tra le cose.

In questa situazione è ragionevole associare l'aggettivo “intelligente” all'attività di un autista o di un calciatore, per esempio, anche se questa non è un'attività mentale stancante. E il punto non è nella complessità dei procedimenti o dei ragionamenti ma nella loro originalità o novità, nell'esatta valutazione della situazione e nell'esecuzione dell'azione più adeguata, così che è del tutto possibile che il gioco di qualche calciatore d'élite sia più intelligente della risoluzione di una data equazione integrale, per esempio. Simile è la questione anche con tutti i grandi maestri del campo artistico, la maggior parte dei quali sicuramente incontra problemi risolvendo compiti delle classi superiori (e anche medie), ma la cui attività è intelligente, se si vuole solo per il motivo per cui tali compiti risolvono praticamente tutti gli studenti delle scuole di un certo grado medio, mentre l'attività creativa di questi maestri può, nel migliore dei casi, essere solo imitata! Da ciò consegue che l'intelletto sta principalmente nel creare qualcosa di nuovo in una data situazione, non nell'applicare regole conosciute, anche se difficili. Questa novità era solo una possibilità finché non l'hanno trasformato in realtà.

Ma se voi chiedete a quelle persone qual è questa novità, che è il segreto del loro successo, essi non ve lo spiegheranno, non solo perché così si guadagnano il “pane”, ma perché anche essi soli, nella maggior parte dei casi, non sanno di cosa si tratta. Quando per lo svolgimento di una data attività esiste qualche descrizione, procedura, ricetta, o algoritmo per agire, allora essa non è considerata molto intellettuale, ma se non esistono buone regole essa merita lodi e ammirazione, e questo è il motivo che ha costretto gli antichi greci ad inventare la metafora delle Muse, che sussurrano all'orecchio dell'artista cosa e come fare. È interessante a questo proposito la risposta dello scultore Auguste Rodin su come egli realizzava le sue statue — egli ha detto: “Io prendo un pezzo di pietra e ritaglio tutto ciò che è superfluo.”! Sicché l'intelletto era e resta innanzitutto un mistero, anche se in molti casi si possono proporre diversi regole e metodi di apprendimento. Oggi tutto si impara, ma questo non significa che i grandi maestri siano diventati tali perché essi hanno appreso i segreti del mestiere durante il loro periodo educativo — esso è stato necessario per loro soprattutto ad ampliare i propri orizzonti e aggiungere nuovi metodi e mezzi alla loro tavolozza, ma non per cambiare ciò che era già nelle loro teste.

E poiché noi abbiamo menzionato una volta gli algoritmi della creatività, attiriamo la vostra attenzione su un paradosso fuorviante, che consiste nel fatto che le attività, considerate solitamente le più intelligenti, risultano abbastanza facili per la modellazione artificiale, mentre quelle, che sono più elementare e accessibile anche a molti animali, si rivelano il più difficile! La partita a scacchi, praticata dall'uomo da millenni, è un tipico esempio di attività intellettuale complessa, ma nonostante ciò i computer contemporanei, pur essendo ancora nella loro età “infantile” (circa mezzo secolo), sono riusciti a battere, non chiunque, e non un giocatore di scacchi medio, ma il campione del mondo di scacchi, sfatando il mito dell'insuperabile intelletto umano. E d'altra parte, diverse attività umane elementari svolte a mani nude e praticamente senza sforzo mentale, come anche l'andatura molto aggraziata di alcuni animali, sono ancora piuttosto difficili da eseguire da parte di un certo numero di robot, e con ogni probabilità la creazione di una sufficiente somiglianza con gli esseri umani non è una questione di prossimo futuro. Questo è così perché lì, dove la procedura può essere facilmente algoritmizzata, la tecnologia contemporanea è sufficientemente potente da fare miracoli, mentre i semplici movimenti meccanici e le conclusioni apparentemente elementari a livello di buon senso sono molto più difficili da realizzare. Analogamente agli scacchi si possono citare anche l'animazione al computer e la musica, che si stanno sviluppando da circa vent'anni, ma hanno già molti risultati impressionanti (noi non parliamo di cosa si può fare con l'uso del computer, ma dell'attività autonoma dei programmi per computer).

Sulla base di quanto sopra noi possiamo dare una definizione di lavoro del concetto di intelletto, come: elaborazione euristica delle informazioni, che consente l'invenzione di nuove relazioni e la conduzione di comportamenti adattivi in situazioni impreviste. L'euristica significa incompletezza o inesattezza della decisione, come anche mancanza della decisione giusta, e l'adattabilità presuppone un certo aggiustamento all'ambiente e apprendimento. L'intelletto è semplicemente un modo non chiaro per elaborare le informazioni, e se questo viene fatto consapevolmente o meno (e cos'è questa “coscienza informatica”?), così come è questo un atto volitivo o arbitrario, non è così importante. La presunzione di una certa scomposizione degli obiettivi esiste, ma essa è implicita anche nella novità della situazione e nel modo incerto di lavorare del sistema intellettuale. Non è necessario considerare il mezzo materiale in cui avviene questa elaborazione delle informazioni, perché importante è l'idea e non la sua realizzazione fisica. (A proposito, anche la parola stessa idea, cioè l'idea latina, si basa sulla radice ... Deo, cos'èil greco antico ‘Theos', o Dio, che significa che nell'idea esiste necessariamente qualcosa di divino.) Questo è sufficiente come introduzione, e nel prossimo capitolo noi approfondiremo leggermente le nostre opinioni sull'elaborazione intellettuale dell'informazione e la divideremo in due classi principali.

 

II. Ragione e intelletto

 

La ragione e l'intelletto sono spesso osservati come sinonimi, ma è bene fare anche differenza tra loro, perché mentre l'intelletto è qualcosa in possibilità, allora la ragione è la capacità di applicare algoritmi già conosciuti. La parola stessa “ragione” deriva dal latino ratio, che significa relazione o divisione, e il significato della sua applicazione all'attività intellettuale deriva dal difficile procedimento della divisione (si intende con i numeri romani), che nell'antichità era conosciuto da meno di una persona su mille, forse (e oggi è ancora meno conosciuto, perché le cifre romane non sono più usate in aritmetica). Foneticamente qui si nasconde la divisione o il fare dei ... tagli, incisioni (come anche nello slavo ‘razum' o nel francese raison = ragione; anche, diciamo, nell'antico bulgaro ‘rabosh' come abbaco, e altri), ciò che merita di essere menzionato (perché la ragione di solito scatta o clic), anche se questa è una piuttosto dura considerazione della questione. Un altro sinonimo della ragione è la logica, che è latino-greco logos, che significa qualche record, o almeno in questo senso si usa oggi in inglese (voi sapete: logo è un emblema, simbolo, quindi logistica è gestione delle risorse, cioè tenuta dei record di ciò che è presente e di ciò che non è), e poi la logica è la capacità di elaborare alcuni record scritte, simboli, parole, eccetera (ricordate il biblico “All'inizio era la parola ...”), per rivelare la loro essenza. In questo senso è meglio con la ragione intendere la capacità di svolgere un'attività intellettuale complessa, per la quale, però, esistono delle regole o algoritmi conosciuti, dove l'intelletto non si limita solo a questo ma presuppone anche una capacità di ottenere nuove soluzioni sulla base di comparazione di situazioni e generazione di idee.

Più precisamente nell'intelligenza artificiale si parla di metodi analitici e sintetici di soluzione. I metodi analitici sono anche chiamati discreti o digitali (simbolici) e si basano su una certa scomposizione delle informazioni e sull'analisi dei dati e delle relazioni tra loro, ciò che deve consentire l'applicazione dell'uno o dell'altro approccio parziale per la risoluzione; questi sono i metodi propriamente ragionevoli o logici. I metodi sintetici, dal canto loro, implicano un certo riconoscimento della situazione nel suo complesso, senza un'analisi dettagliata (si trattasse di scrittura di lettere e di altre immagini, o di ambientazioni di gioco, di guerra e operativi, o di opere musicali, ecc.), e essi sono chiamati anche analoghi; essi non danno soluzioni così esatte, ma possono essere molto veloci e possono essere facilmente acquisite dalle persone. Queste nozioni molto spesso si intrecciano ed è possibile che procedure analoghe si realizzino su macchine digitali, o algoritmi logici si eseguano in modo analogo, e questo avviene come nei sistemi informatici, così anche da parte delle persone, perché esistono diversi tipi di psiche con le loro attività preferite. L'importante è capire che qui si tratta di due tipi di elaborazione dell'informazione e non di uno, anche se nei computer contemporanei esiste attualmente la tendenza ad utilizzare l'elaborazione digitale ovunque, ma questa è una questione di efficacia della base dei elementi e può essere fenomeno temporaneo.

Anche la parola “analogo” deriva dall'antica Grecia e deve dire qualcosa di diverso dal “logo”, perché la “a” all'inizio della parola (dall'antichità, ma almeno dal greco-antico, il più delle volte) è un prefisso per una negazione; l'apprendimento per analogie (situazioni o casuses-casi), però, è un metodo di base in varie scienze. È così nell'esempio dell'autista e del giocatore di football, negli affari militari, nella giurisprudenza, nella medicina, nella letteratura e in altre arti, e dove altro no, ciò significa che noi non abbiamo il diritto di ignorare questo metodo di risoluzione dei compiti intellettuali. Altrimenti risulterà che l'intera attività intellettuale si ridurrà alla soluzione di compiti di matematica superiore, o al gioco degli scacchi, dove i computer sono già migliori degli esseri umani, e noi saremo anche costretti ad escludere dalla sfera delle persone ragionevoli tutti i cosiddetti intellettuali o uomini d'arte, come anche coloro che lavorano in altri ambiti umanitari, solo perché essi non possono (e essi davvero molto spesso non possono) giudicare ragionevole. Così che noi dobbiamo osservare entrambi i tipi di elaborazione delle informazioni nella loro integrità, quando parliamo di intelletto — se fosse umano, se fosse della macchina, se fosse animale, o poi extraterrestre.

E in realtà, alcune persone sono brave a memorizzare i fatti, altre le regole, e questo è ben noto, anche se tale divisione non è molto indicativa, perché entrambe le cose sono entità informative analitiche o discrete. Ma ci sono persone con un'immaginazione diversamente sviluppata e con una carica emotiva diversa, come anche tali quelli preferiscono azioni per analogie. Fino a poco tempo fa questo veniva considerato come diversi modi di funzionamento del cervello, ma negli anni 70 del 20-esimo secolo si scoprì che essi sono collegati a diverse parti del cervello, ma non alla coscienza o al subconscio (cos'è una divisione funzionale e non materiale), o di corteccia e sotto-corteccia, ma di qualcosa molto più differenziato — degli emisferi destro e sinistro del cervello! L'emisfero sinistro (tranne che controlla l'attività motoria della metà destra del corpo — le fibre nervose “cercano” ogni occasione per estendersi e incrociarsi l'una con l'altra, perché proprio lì sono costruiti i nodi o sinapsi, quali sono le esatte unità di memoria) è responsabile dell'elaborazione dell'informazione razionalmente-logica o semiotica (simbolica), che nella maggior parte dei casi è verbale o simbolica. Nell'emisfero sinistro è posto il centro del linguaggio, che, pur essendo polivalente, diffuso, e impreciso rispetto alle regole e alle formule matematiche, costituisce una trasformazione discreta dell'informazione. Lì è la macchina semiotica dell'umano e lì si effettua la scomposizione degli obiettivi, la pianificazione, il ragionamento logico, eccetera. Poiché le persone sono prevalentemente destrorse, anche per quanto riguarda la coordinazione dei nostri movimenti, la parte sinistra del cervello è di regola più sviluppata ed importante.

L'emisfero destro, d'altra parte, è la macchina analogica, che realizza principalmente l'elaborazione di immagini emotive e che nella maggior parte delle persone lavora soprattutto durante il sonno. Lì si effettua il riconoscimento associativo, il giudizio per analogie, la classificazione situazionale spontanea, eccetera, che sono pieni di errori, se uno è riuscito a “cogliere” il suo cervello in molte incongruenze durante il sonno, ma essi sono molto più veloci e interessanti. Gli intellettuali, probabilmente, hanno la capacità di usare l'emisfero destro anche da svegli, cosa che amplifica la loro fantasia, mentre la verificazione logica dell'emisfero sinistro è più debole e poco sviluppata. In ognuno di noi il cervello ha la sua specificità, ma l'importante è che noi abbiamo nella nostra testa, di fatto, due tipi di computer, che lavorano insieme, dove questa dualità è la base del nostro pensare e dell'intelletto umano! Il nostro cervello non è semplicemente un sistema multiprocessore di processori identici (anche se alcuni individui realizzano anche questo, nel senso che ci sono persone che possono svolgere contemporaneamente più attività mentali), ma un complesso di macchine diverse nel loro modo di funzionare. Gli esperimenti di intelligenza artificiale si riducono, per il momento, soprattutto alla modellizzazione delle attività dell'emisfero sinistro, anche se non è che le idee del percettrone e delle reti neurali, che devono aiutare a realizzare il nostro computer “destro”, non sono esistiti, ma per questo dovremo aspettare, forse, ancora mezzo secolo o un secolo. In ogni caso, questa cosa oscura in possibilità può essere raggiunta anche in modo artificiale, tanto più che la natura (o Dio) è riuscita a farlo nel modo più elementare — attraverso milioni e milioni di prove ed errori.

 

III. Istinto non sviluppato

 

Il fatto che noi abbiamo a disposizione dispositivi informatici così perfetti nella nostra testa, tuttavia, non significa che li usiamo correttamente. Detto più precisamente: l'essere umano agisce in modo ragionevole solo dopo aver utilizzato tutti i metodi irragionevoli per raggiungere lo scopo! L'intelletto per noi è come l'ultima risorsa, e ce ne ricordiamo quando tutti gli altri mezzi hanno già fallito. In questo senso è giustificato considerarlo come un istinto non sviluppato, di cui raramente ci avvaliamo anche nella nostra attività individuale, per non parlare delle nostre decisioni collettive nella società, dove il rumorizzazione dell'ambiente è così forte da sopprimere le voci ragionevoli (vedete “Sull'umanità”). Poiché avere a disposizione qualcosa di buono e non usarlo adeguatamente deve sembrare un fenomeno piuttosto strano, vediamo più precisamente le cause del nostro comportamento non intelligente.

 

1. Le decisioni intellettuali richiedono molto tempo e il processo di pensiero è significativamente più lento delle reazioni istintive, per questo le persone molto spesso si comportano come gli animali. Qui si tratta soprattutto di decisioni analitiche o razionali, ma queste continuano ad essere considerate propriamente intellettuali ed è proprio lì che gli esseri umani pensano di avere superiorità sugli animali, solo che questi ultimi molto spesso si comportano in modo più ragionevole di loro e anche più “umano”. In effetti, si può dire che l'uomo è soltanto un animale universale, che a causa della sua universalità è anche più incapace di qualsiasi altro animale specializzato in qualunque attività concreta, e per questo egli cerca di compensare la sua imperfezione attraverso questo nuovo istinto (o, piuttosto, che l'essere umano è divenuto universale, nel processo di evoluzione, perché egli è stato sufficientemente incompetente e impotente nelle varie attività). Così che, nel migliore dei casi, l'essere umano cerca di automatizzare la sua conoscenza e tecnica di lavoro alla velocità (e al livello) dell'istinto, dove, se ci riesce, egli acquisisce poi, col tempo, qualche intuizione, cosa dirà un'attività intellettuale inconscia, svolta spontaneamente e senza apparente attività mentale. Ciò avviene nello svolgimento dei compiti scolastici, nella guida dell'auto, e nell'adempimento dei propri obblighi diretti, ma qui si tratta piuttosto dell'applicazione di un'attività mentale precedente, ridotta nel momento dell'azione ad automatismo (come, ad esempio, se mentre si cammina si pensa a quale gamba sollevare e come spostare il centro di gravità, allora spesso si inciamperà e cadrà). Ma tali attività, già riflessive, possono essere svolte in situazioni conosciute, mentre in problemi di vita complessi si è costretti a pensare sul posto, solo che questo è per lui molto faticoso e lento, e la situazione operativa non sempre lo consente.

 

L'uomo però, oltre alla testa, ha anche il corpo, il che significa che egli è prima di tutto emotivo e poi razionale. L'essere umano è un animale superiore (cosa che non dovrebbe scandalizzarci perché è vero), e lo scopo principale di ogni animale è avere una vita piacevole, così che qui noi abbiamo una contraddizione dialettica negli obiettivi dell'esistenza. I robot non sono emotivi (almeno fino ad ora) perché noi non abbiamo deciso che questo sarà loro di qualche utilità, ma modellare le emozioni non è più difficile di modellare l'intelletto, e se per noi le emozioni sono un ostacolo è naturale non applicarli all'intelletto artificiale. Ma il carico emotivo dei giudizi umani non significa semplicemente prendere delle decisioni parziali che soddisfino solo i nostri interessi, perché l'intelletto è obbligato a forzare la superiorità di un dato individuo o gruppo sugli altri e questo è naturale. Oltre a ciò, si può affermare che nel nostro mondo si soffre soprattutto non perché non si cerca il proprio interesse, ma perché non si riesce a stabilire correttamente il proprio interesse (perché lo si cerca troppo avidamente)! La parzialità del pensiero umano si esprime violando la logica stessa del ragionamento e sostituendola con questo, a ciò che l'individuo è emotivamente più disposto, o, nei casi più lievi, filtrando i dati di input dal punto di vista delle preferenze individuali (spesso non realizzate). L'uomo è a tal punto egocentrico, che riesce molto raramente a pensare in modo logico, per la semplice ragione che a priori prende per vero ciò che vuole dimostrare sul piano logico. Così fa il politico, e il giurista, e il paziente, e l'innamorato, ecc., e come se un comportamento veramente ragionevole potesse essere osservato solo lavorando con categorie matematiche astratte.

Della contraddizione tra ragione ed emozioni si parla sicuramente molto, ma il nocciolo della questione è che non è affatto necessario che questa contraddizione sia antagonista e tutto il “trucco” sta in questo: chi comanderà chi. È normale aspettarsi che l'intelletto domini sulle emozioni e da questo trarranno vantaggio le emozioni stesse (insieme all'intelletto), ma poiché l'essere umano non è creato subito, ma è il prodotto dell'evoluzione degli animali, le emozioni occupano una posizione più fondamentale dell'intelletto. Questo, di fatto, è una parafrasi della tesi sull'istinto non sviluppato, perché quando esso si svilupperà abbastanza (e se lo farà, ovviamente) esso dovrà assumere l'intero comandamento usando le emozioni solo come “consulenti” o “arbitri” nella valutazione delle decisioni. Nei prossimi secoli (e, più realisticamente, nei millenni), tuttavia, noi non abbiamo motivo di nutrire grandi aspettative, poiché oggigiorno per almeno il 95 % delle persone gli argomenti dell'intelletto continuano a suonare aridi e poco convincenti e loro preferiscono l'azione al pensiero, perché il primo porta emozioni più immediate, il che significa che noi non hanno ancora imparato a provare soddisfazione emotiva dal processo stesso del pensiero.

 

Il carattere euristico delle decisioni intellettuali significa che la loro veridicità non è sempre garantita, e il loro controllo in molti casi non è possibile, sia per l'enorme dimensione, sia per il principale criterio di veridicità (almeno in ambito sociale) — la verifica del futuro. Guardando più in generale, la strategia più efficiente, utilizzata ovunque dalla natura (o da Dio, se volete davvero personificarla), è il metodo per tentativi ed errori (o ricerca completa nello spazio degli stati), che è pieno di tanti errori, e che, tuttavia, può essere applicato con successo se si dispone di tempo e risorse illimitati. L'essere umano non è Dio, ma egli può anche applicare una forma limitata di questa strategia, se si rende conto della sua posizione di granello di polvere nella società umana e nella storia e usa i milioni di errori accumulati nel corso dei secoli passati. Solo che ogni individuo preferisce commettere propri errori (perché questo è molto più semplice dell'elaborazione di tutte le informazioni accessibili) ed è molto orgoglioso di questa “indipendenza”. Ebbene, in vari casi questo risulta essere corretto, perché le condizioni degli errori precedenti sicuramente erano un po' diverse in qualcosa. In ogni caso, le nostre decisioni sono euristiche e i nostri criteri di veridicità sono relativi, per cui non sempre è garantita la decisione esatta.

Ma se l'esatta decisione euristica non è sempre garantita, allora è possibile trovare una soluzione accettabile in un tempo relativamente breve. In modo simile funzionano anche i programmi per computer per giocare a scacchi (e, naturalmente, anche i maestri di scacchi), che non considerano mai tutte le mosse possibili, ma si limitano con una certa profondità sull'albero delle condizioni, come si dice. Secondo calcoli approssimativi il numero di mosse possibili in una partita a scacchi di media durata è un numero scritto con un uno seguito da 120 zeri (cioè 10 elevato alla 120a potenza, 10120), che è un numero davvero enorme, perché la quantità di tutti gli atomi nell'Universo, è stata scritta come uno seguito solo da circa 80 zeri. Così che l'euristica è inevitabile in compiti complessi e tutto è questione di equilibrio accettabile tra completezza dell'esaminazione e tempo per ottenere la soluzione. Ma cos'è l'intelletto se non anche equilibrio tra esigenze contraddittorie? Proprio questo equilibrio, però, questa ricerca del punto di mezzo, come dicevano già gli antichi greci, è la cosa più difficile per l'uomo.

 

4. Un'altra ragione del comportamento umano irrazionale è la verbalità dei nostri giudizi o l'influenza restrittiva della lingua. Noi siamo particolarmente orgogliosi del nostro linguaggio articolato, capace di dare una buona descrizione della natura, ma questo, ciò che esso più di tutto dà, è una realtà virtuale (cioè apparente), che è piuttosto fuorviante e ambigua che esatta. Nessuno può convincere, ad esempio, un cane che è meglio per lui mangiare fagioli, soia, noci, ecc., perché egli non capisce il linguaggio umano e quindi preferisce sempre la carne, mentre gli umani possono essere convinti di questo (e secondo l'Induismo l'uso di qualunque carne non è appropriato, comprese anche le uova e il caviale, perché questi erano i futuri discendenti degli animali). Il nostro sistema sociale si basa sul linguaggio umano, perché nessun politico può gestire le masse se egli non sa parlare bene, cioè manipolare le persone. A noi semplicemente piace l'illusione che ci danno le parole e noi non vogliamo cambiarla con nient'altro; la realtà apparente della letteratura è più attraente di quella di alcune altre arti, perché il loro linguaggio (della pittura, per esempio) è più povero. A proposito, non si sa quale bulgaro abbia deciso per primo che il nostro linguaggio deve chiamarsi ‘rech' (ed era lui bulgaro), ma lui deve aver avuto senso di umorismo, perché voi probabilmente sapete che “retch” in inglese significa vomitare! Questo, ovviamente, è solo una curiosità linguistica e non è direttamente collegata con la nostra discussione, ma essa è indicativa dell'inutilità di molti superlativi legati al centro linguistico (considerato logico) del cervello, che, di fatto, fa quello che può, sotto le limitazioni imposte dalla lingua.

I linguaggi naturali sono particolarmente imprecisi e lavorano con concetti molto vaghi, qual è la ragione principale per cui persone diverse, sulla base degli stessi dati, possono giungere a conclusioni radicalmente diverse! Il nostro problema non è che noi possiamo parlare, ma che crediamo a ciò che è stato detto! Se noi avessimo potuto usare un linguaggio semantico, che riflettesse meglio il significato dei concetti, come ora l'intelletto artificiale cerca di fare, o se almeno avessimo padroneggiato la telepatia di massa, e non solo come una fenomenale eccezione tra milioni di persone (e questo non sempre e non per ogni immagini mentali), sicuramente saremmo stati più ragionevoli e più veritieri. Molti animali hanno i loro linguaggi, primitivi secondo la nostra comprensione, ma essi sono abbastanza buoni da esprimere le emozioni necessarie per loro (perché il loro intelletto è molto rudimentale e ad un livello più subordinato rispetto alle emozioni, in confronto al nostro).

Ci sono ragioni per sperare che, sotto l'influenza della logica, i linguaggi naturali diventeranno sempre più precisi, anche se questo è un processo molto lento. Noi, io intendo i bulgari, per esempio, usiamo ancora la doppia negazione (per es. la frase “Io non so niente di nuovo”, che usano tutti gli slavi — ma è così anche nelle lingue romane — intesa correttamente significa che “Io so qualcosa di nuovo”) mentre gli inglesi (come anche i tedeschi) lo hanno rifiutato da più di un secolo. Ma questo non significa che essi (cioè gli anglofoni) siano molto più avanti di noi, perché essi non hanno ancora imparato a fare la differenza tra la lettera “o” e il numero “0”, e in molti casi essi chiamano i numeri “figure”. Finora è come se l'unico progresso fosse l'inserimento, già anche in bulgaro, della combinazione “e/o”, perché il nostro “o” quotidiano è il cosiddetto “o escluso”, cioè la funzione logica che è vera solo se entrambi le cose sono diverse (cioè o l'una o l'altra), mentre la scrittura con slash è vera sempre quando entrambe le cose non sono contemporaneamente false. In ogni caso, è importante capire che la nostra lingua, quanto ci aiuta, tanto ci ostacola, nei nostri sforzi per trovare l'essenza delle cose, e il nostro intelletto non consiste necessariamente nella capacità di parlare. Quindi sarebbe stato meglio se noi avessimo potuto essere intelligenti senza parlare, invece del contrario (cosa che accade più spesso).

 

In relazione alla rarità dell'attività intellettuale da parte degli esseri umani non è da ignorare anche il fatto che l'intelletto non è direttamente correlato con la continuazione del genere, qual è il nostro obiettivo globale nella vita, dal punto di vista della natura, perché per la continuazione del genere ci vuole tutto il resto ma non molto cervello! L'intelletto continua a svolgere un ruolo secondario in tutte le attività sociali più significative (vedete “Sull'umanità”), che sono comunque legate al raggiungimento di migliori condizioni per la riproduzione di un dato gruppo sociale (sebbene ciò non è realizzato dai suoi membri). Dal punto di vista della riproduzione l'essere umano non è una macchina intellettuale ma riproduttiva, dove l'uomo è il seminatore e la donna è la terra-utero. Ad alcuni di noi questo potrebbe piacere (specialmente il processo stesso di riproduzione, astratto dal risultato), e ad altri — non molto (se il loro apparato riproduttivo è un po' logoro, o non ancora completato), ma sicuramente non più spesso di una volta su mille volte ci si dedica a questa attività per cause ragionevoli.

In ogni caso, anche nella nostra epoca illuminata, e nei paesi ricchi e sviluppati, l'intelletto è valorizzato soprattutto come elemento sussidiario dall'altro sesso, perché le donne cercano gli uomini belli, e/o ricchi, e/o forti, mentre gli uomini cercano ... la stessa cosa, ma ad eccezione della forza (perché la forza della donna, come è noto, sta nella sua debolezza). L'intelletto di solito non è un ostacolo, quando è posseduto dall'uomo, ma esso è solo una sfumatura piccante (qualcosa come la combinazione tra razza bianca e quella nera, per esempio, che ha un bell'effetto eccitante), mentre per le donne esso è valutato non per i meriti, ma per la sua rarità (qualcosa come, diciamo, un uovo di pterodattilo). E nella società le persone intelligenti vengono guardate, nel migliore dei casi, con rammarico, perché vedete, essi non hanno più nient'altro, con cui diventare famosi. Forse su qualche altro pianeta le cose sono diverse, per l'intelligenza artificiale sicuramente non sarà così, ma per le persone questa è una qualità innata.

 

Alla fine noi ci concentreremo anche sulla mancanza di organizzazione nella società umana nel suo complesso, ciò che rende semplicemente superfluo l'intelletto speciale dei suoi membri. E, davvero, qual è la necessità di una soluzione ottimale per un dato individuo o un piccolo gruppo, quando la loro interazione avviene ancora nel modo più primitivo (vedete “Sull'umanità” e “Sulla violenza”), e la decisione ragionevole non ha possibilità di essere messa in pratica? Il sistema nervoso centrale degli animali viene migliorato nella loro lotta per la sopravvivenza, ma quando l'essere umano è sopravvissuto, e ha addirittura sovrappopolato il nostro “povero” pianeta fino alla follia, allora perché dovrebbe egli aver bisogno di ulteriori miglioramenti? I limiti dei nostri più grandi sogni di armonia pubblica non vanno oltre la democrazia, l'economia di mercato, e gli armamenti “ragionevoli”, dove la democrazia contraddice il buon senso (vedete “Sulla democrazia”), il mercato è un ovvio inganno (vedete “Sull'umanità”), e l'armamento è ragionevole solo dalle posizioni del più forte. Fino a quando la società non riuscirà a costruire un'organizzazione migliore di quella delle meduse, per esempio, dove le decisioni dell'organo centrale pensante siano messe in pratica senza opposizione delle masse, e una specializzazione migliore di quella delle prove distruttive, o della prosperità del più adatto (come se noi fossimo in una sorta di competizione e il sole non splendesse allo stesso modo per tutti), allora non ci sarà più bisogno di una forma più perfetta dell'intelletto umano. In altre parole, finché le contraddizioni tra gli individui non saranno ridotte al minimo possibile, le persone continueranno a comportarsi in modo irragionevole o come animali. Bene, in generale le cose stanno così: lo scopo giustifica i mezzi!

 

Poiché la creatività è in gran parte legata all'intelletto, è opportuno dire qualche frase anche a questo riguardo. Ogni attività intellettuale è, di regola, creativa, anche se la cosa inversa molto spesso non è vera. Forse è bene definire l'attività creativa come tale, per cui il piacere sta nel processo, non tanto nel risultato, anche se, se il risultato è buono, anche questo non è da trascurare. L'attività contraria è quella di routine, per cui il piacere è dopo la sua conclusione, nei suoi risultati (ad esempio, nel pagamento), mentre il processo stesso molto spesso non è attraente per l'individuo. Naturalmente sono possibili diversi livelli di compromesso tra questi due estremi, così come variazione del carattere dell'attività nel tempo; inoltre tale suddivisione è specifica per ogni persona. In questo senso è possibile che una determinata attività creativa non sia legata alla necessità di molto intelletto e un esempio di ciò è ... il sesso, che sicuramente non viene praticato a causa del risultato (esattamente l'ultimo, molto spesso, è indesiderato) ma a causa del processo! Tuttavia, questa è veramente un'attività creativa (almeno finché non ci si annoia con il partner), perché in essa si scopre ogni volta qualcosa di nuovo, e per la maggior parte delle persone questa è l'unica attività creativa. Nella sua vita, ovviamente, ognuno cerca di lasciare almeno un figlio dietro di sé, ma questa ricerca del risultato viene dopo il piacere del processo ed è piuttosto una giustificazione personale; l'uomo è un animale cercante (wanting animal) e mira sempre a qualcosa — se non ad altro almeno alla vita permanente tramite i suoi figli.

 

Così che l'intelletto, per la maggior parte delle persone, è ancora qualcosa di nuovo, della cui necessità essi non sono convinti. E essi non ne sono convinti perché non procura loro un piacere particolare, come ad esempio il sesso. Coloro che traggono piacere dal processo proprio intellettuale sono felici a modo loro, perché questo li aiuta in molte situazioni della vita, ed è anche un altro piacere che non è da perdere. Solo quando ciò diventerà pratica comune (e se ciò accadesse), allora potremo affermare che l'uomo è un animale pensante, non solo capace di pensare (perché egli è capace anche di ... urinare, per esempio, ma non mette il suo nome in relazione con quella sua “capacità”). Se, dopo tutto, ciò non accadrà — beh, allora l'esperimento si è rivelato infruttuoso.

 

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SULLA RELIGIONE

 

I. Appoggio alle masse

 

Ben nota è la frase secondo cui la religione è l'oppio del popolo, solo che la stragrande maggioranza del pubblico ha una concezione pregiudiziale sulla questione, a causa del presupposto (giustificato con nulla) che l'oppio è qualcosa di brutto, perché da ciò deve derivare che anche la religione non può essere qualcosa di buono, ma le masse, di regola, non vedono nulla di male nella religione (o almeno nella loro religione). Tale giudizio è logico ma sbagliato, perché non è necessario che l'oppio sia qualcosa di male (perché altrimenti esso non avrebbe trovato applicazione nella medicina contemporanea, come anche quella antica), e inoltre tutto dipende dalla dose e dal particolare caso (o la malattia). Gli uomini cercano la religione esattamente nei momenti difficili della vita — nei casi di grandi disgrazie e morte — e proprio allora essi hanno bisogno di questo oppio psichico e morale, per portare più facilmente il pesante fardello della loro vita individuale. Sicuramente la religione è benvenuta anche nei momenti felici della loro vita, come le cerimonie matrimoniali, le nascite, le belle feste religiose e i carnevali, perché la grande gioia e il grande dolore hanno un impatto altrettanto confuso sulla loro vita quotidiana; ma anche se non è sempre così (perché non c'è nulla di confuso in una Pasqua, o in un Corban-Bairam, o in qualche altra festività religiosa), nessuno è pazzo da privarsi delle belle tradizioni, e addirittura le cerca da solo, perché nei molti secoli della loro esistenza le varie religioni hanno avuto la possibilità di ideare scenari di grande successo per festività nazionali.

Quindi, se ci sbarazzassimo del pregiudizio sull'oppio, potremmo anche completare il pensiero di cui sopra sostenendo che: la religione è proprio quest'oppio, di cui il popolo ha bisogno! Se non fosse così le religioni semplicemente non esisterebbero da millenni, perché nessuno può imporre all'uomo (almeno per un periodo più lungo) qualcosa che egli non vuole. Se alcuni preti non capiscono le cose in questo modo, allora questa è solo un'ulteriore prova della loro ristrettezza di pensiero (qualcosa che è abbastanza tipico per gli ufficiali di culto, dove il pensiero dogmatico è una norma di comportamento). La religione per le masse è quello che sono le fiabe per i bambini, belle o spaventose che siano, perché la gente comune non si differenzia molto dai bambini nelle loro concezioni ingenue e nel desiderio di evadere in qualche modo dalla realtà, che a loro non piace molto. In questo senso la religione è una sorta di escapismo, e nessuno può togliere alle persone la possibilità di “disconnettersi” temporaneo, e non ha nemmeno tali diritti.

La propaganda comunista, a causa del fatto che il comunismo era una nuova religione (su cui ci soffermeremo un po' alla fine di questo saggio), anche se non osava ammetterlo, ha imposto la percezione che le religioni (cioè le altre religioni) sono qualcosa di imposto al popolo, ciò che non gli serve e, quindi, dannoso. Ma questo non è vero in generale, perché le persone stessi cercano una religione, e ciò che viene loro imposto (e non piace a loro) è la religione comunemente accettata e il suo apprendimento nelle scuole (perché le cose obbligatorie raramente piacciono al popolo), e per questo motivo già nell'epoca del Rinascimento apparvero molti avversari della religione. Questi avversari erano grandi umanisti e grandi personalità, e la loro opposizione era normale e necessaria per strappare, o staccare, la religione dal governo, per eliminare il dogmatismo inutile nel pensiero (perché esso, come ogni cosa in eccesso, è dannoso), per democratizzare e decentralizzare la società, ma non ad eliminare completamente la religione dall'ambito sociale della vita. E come noi vediamo anche oggi essa non viene scartata. La religione esiste ed esisterà come necessità vitale per l'umanità, ma essa sta cambiando e cambierà con l'espansione della nostra conoscenza del mondo. I dogmi religiosi si infrangono, e per ogni dogmatico questo significa negare la religione, ma questa, in realtà, è un'evoluzione incessante dalle idee ingenue e concrete su Dio (o gli dei) con immagine umana verso una comprensione più astratta della natura, illimitata dello spazio e del tempo, e della nullità e debolezza dell'uomo.

La religione è una necessaria delusione — ovviamente delusione, perché non ci sono prove dell'esistenza di Dio (su ciò noi rivolgeremo la nostra attenzione nel capitolo III, ma vedete anche “Sulla creazione”), e ovviamente necessaria, perché le persone cercano per essa da secoli. La verità, oltre al fatto che è inaccessibile alle persone (e grazie a Dio, perché se un giorno avessimo potuto conoscere tutta la verità sull'Universo, cosa avremmo fatto dopo?) e il nostro movimento nel tempo è un incessante processo di scoperta di nuove verità parziali dall'illimitata verità assoluta sul mondo, ma essa è anche quasi insopportabile (perché le persone, come abbiamo detto, sono come i bambini). La religione è una delusione, ma tutto nella nostra vita è una delusione: il successo, la felicità, l'amore, la conoscenza, l'eroismo, lo scopo della vita, l'alcol, il sesso, l'arte, e così via. La religione cristiana dice che “tutto è vanità”, ciò che ha lo stesso significato (anche se essa non chiama questo delusione) e offre come unica alternativa la fede in Dio e nell'aldilà. L'unica cosa che noi possiamo fare in questa situazione è scegliere qualche delusione più bella ed essere felici del nostro miraggio!

È molto naive pensare che quando uno sa che si delude in qualcosa egli sarà insoddisfatto — uno è scontento solo quando qualcosa non gli piace, e la veridicità è l'ultima cosa che gli interessa, e questo solo se egli è non contento. La maggior parte dei bambini intorno al quinto anno sanno molto bene che non esiste Babbo Gelo o Babbo Natale, ma ciò non impedisce loro di godersi i regali per questa festa. Ogni essere umano sano è consapevole che è impossibile cercare tutti gli uomini o le donne disponibili (a seconda dei casi) per scegliere un partner nella vita, o oggetto del suo amore, ma ciò non gli impedisce di cadere in amore, se non con il primo incontrato, almeno con uno dei primi 5-6 oggetti. Ogni lettore sa che i libri (e i film) di narrativa sono pura invenzione (anche se noi, in Bulgaria, siamo un po' confusi, da un lato a causa del “realismo critico” esistente da molto tempo, e dall'altro — perché noi parliamo sulla letteratura, dove gli anglofoni la chiamano proprio “fiction”, cioè invenzione), ma questo non gli impedisce di leggerli, se gli piacciono. In questo senso la consapevolezza del fatto che anche la religione è un'invenzione e che l'esistenza di Dio è indimostrabile, non significa affatto che la religione non sia necessaria per le persone, né che ciò impedisca loro di crederci (cioè deludersi).

Alla luce di questi ragionamenti è giunto ora il momento di dare una definizione di religione, ma che sia quanto più ampia e non limitativa, in modo da includere tutte le credenze religiose esistite ed esistenti, come anche le possibili religioni future. A questo scopo è utile ricercare anche alcune relazioni etimologiche, perché questo, ciò che si è sedimentato linguisticamente nelle lingue, è qualcosa di profondamente sentito (o “inconsciamente realizzato”) dai popoli nel corso dei secoli. La stessa parola “religione” è latina e significa qualcosa su cui si fa affidamento o si cerca sostegno, come si può facilmente vedere in inglese (perché dove “rely on” significa affidarsi). Poi la parola inglese “pater” è latina, ma deriva dall'antico sanscrito dove patera significa trave, sostegno, e questa radice è presente anche in bulgaro in una parola oggi raramente usata, ‘pateritza', che cosa è una ... stampella. La parola bulgara per pater-sacerdote è ‘sveshtenik' (o ‘sveshchennik' in russo) e significa persona luminosa o santa (‘svesht /svecha' è una candela), dove il latino Papa è in russo ‘papa' e significa anche padre (capite, dell'umanità), e la lingua russa, anche se per l'Occidente potrebbe sembrare cinese, ha molte parole e radici latine, solo che i suffissi sono slavi e diversi. Interessante è anche il rapporto dell'inglese God (e del tedesco Gott) con la radice “good” (in tedesco gut, che significa buono), perché Dio è l'essere buono; come anche gli inglesi evil-male e devil-diavolo, dove quest'ultimo per gli inglesi è costruito da “il Male (essere)”. E così via.

Così che la nostra definizione di religione è la seguente: sistema sociale integrale di percezioni e rituali, che si basa esclusivamente sulla fede, ed è progettato per sostenere e incoraggiare le persone nella loro attività quotidiana e soprattutto nei momenti difficili, dando significato alla vita, che è altrimenti priva di questo, dal punto di vista dell'individuo. Del sostegno che dà la religione noi abbiamo parlato abbastanza, del senso della vita (o della sua insensatezza) si trovano molte riflessioni nel saggio “Sulla creazione”, e nel prossimo capitolo noi ci soffermeremo più approfonditamente sull'obiettivo della religione, per cui resta da dire alcune parole sulla fede. Infatti, è ovvio, che nella religione le affermazioni vengono accettate non perché essi siano vere o giuste, ma prima per fede, e solo dopo, quando e dove ciò è possibile (e anche dove non lo è) essi vengono giustificate in qualche modo logico, ma post factum. Più di questo, non solo si crede in qualcosa non per la sua veridicità, ma proprio il contrario — per la sua indimostrabilità, o come afferma la famosa frase, giunta a noi dall'epoca romana: Credo quia absurdum, cioè “Io credo perché questo è assurdo”! Per molti questo può sembrare un paradosso, ma lo è la pura verità (beh, non assoluta, ovviamente), perché questo, ciò che è probabile o possibile, esso può accadere, oppure essere dimostrato in modo logico o sperimentale, e questo, che non può essere dimostrato in alcun modo (ma deve essere accettato o instillato nelle masse), può essere accettato solo attraverso la fede e senza pensare. In altre parole, questo, cosa è da credere in esso, cioè è possibile, dimostrabile, non è necessario che sia preso per fede (cioè esso non è “da credere”), laddove questo, cosa non è da credere, perché esso contraddice la logica e/o l'esperimento, questo deve essere preso per fede (cioè esso “è” da credere) — equilibrio verbale abbastanza confuso, ma tali sono i linguaggi umani e la logica dell'individuo comune, quindi che non c'è modo di scappare da situazioni così scivolose.

 

II. Moralità

 

Ogni religione ha il suo scopo morale profondo, ed è questo che ne giustifica l'esistenza. Le nozioni fondamentali sul bene e sul male, introdotte anche dagli sciamani primordiali, sono una necessità vitale nella società umana, non perché l'uomo è così sciocco da non sapere cosa è bene per lui e cosa no, ma perché gli obiettivi egoistici di ogni individuo contraddicono gli obiettivi comuni del gruppo di persone, e, quindi, deve esistere qualcuno che deve formulare delle regole più comuni per convivenza, e questo qualcuno deve anche imporle — se con la forza, se con delusione. Nella natura non esiste il bene e il male, e queste nozioni non sono necessarie agli animali, perché essi non hanno la capacità di costruire in sé modelli più o meno buoni della realtà, e vivono semplicemente giorno dopo giorno, senza la possibilità di prevedere le cose in un futuro più ampio rispetto, ad esempio, a una stagione annuale. Non esistono gatti virtuosi, né lupi, né cani, né locuste, se volete, ma questo non li ostacola minimamente nella vita, perché essi non hanno la capacità di formulare domande sul senso della vita, dove la capacità umana di comprendere (e ecco da dove deriva la favola della mela della conoscenza nel giardino paradisiaco) è un'arma a doppio taglio. La capacità di conoscenza è qualcosa di più perfetto in senso biologico, ma essa impone nuovi problemi agli esseri che ne sono dotati, perché se un animale uccide solo per difendersi o per nutrirsi, allora l'uomo lo fa per vari motivi astratti. In questo modo questo animale sociale chiamato pensante diventa molto forte e pericoloso, non solo per gli altri animali, ma anche per i suoi fratelli — ergo, egli deve ancora imparare a convivere con gli altri, affinché lo spargimento di sangue (o le perdite di materiale biologico, detto in modo più cinico) sia minimale possibile. Per questo, appunto, esiste la moralità.

Se noi provassimo a dare una definizione breve e non limitativa, ma sufficientemente approfondita, della nozione di “moralità” potremmo arrivare a quanto segue: sistema di regole destinato ad unire le persone nel tempo e nello spazio. La convivenza comune nello stesso luogo può essere raggiunta in modo relativamente facile (spesso con l'uso della forza), ma di fronte al tempo, senza norme morali, l'umanità inciampa! Si accetta che un gruppo di persone non unite nello spazio venga chiamato “selvaggi” (poiché essi possono sgozzarsi a vicenda come un branco di lupi, sia a causa di qualche femmina, o di qualche “osso”, o solo per mostrare che “eroi” essi sono), mentre un gruppo di persone non unite nel tempo vengono solitamente chiamati “barbari”, cioè infedeli (perché essi non sanno come comportarsi per lasciare un buon ricordo di sé, né sono affatto convinti di dover lasciare un tale ricordo).

Per raggiungere l'armonia nella vita dell'uomo con i suoi simili e con l'ambiente tutti i mezzi sono consentiti! Per questo motivo è del tutto naturale l'invenzione dell'aldilà (o della reincarnazione delle anime), e la completa penetrazione della religione (almeno mentre essa è al potere) in tutte le sfere della vita, e la nozione di peccaminosità dell'essere umano, e il dogmatismo della morale religiosa, sostenuta dall'apparato dell'inquisizione o, almeno, da qualche censura, come anche la crudele intolleranza alle eresie (cioè le teorie errate), e il carattere utopico della felicità religiosa in contrasto con i reali piaceri terreni, e l'inevitabile stagnazione nello sviluppo (perché la felicità, il più delle volte, sta nella stagnazione), e altre caratteristiche comuni di una data religione. Le religioni sono per le masse e, per questo motivo, essi sono rifugio per i deboli, perché quello comune è debole — tanto per affrontare il male, quanto anche per comprendere nella propria mente il tempo e lo spazio illimitati.

Per l'uomo imparziale e pensante è del tutto chiaro che il male e il bene non sono categorie astratte ma relative e che in ogni caso concreto essi possono avere significati diversi, ma tale impostazione delle cose non risolve il problema! Uno deve sapere, ad esempio, che il cannibalismo è qualcosa di molto brutto, un peccato crudele, non importa che ci possano essere casi in cui esso è una decisione ragionevole (diciamo, dal punto di vista della continuazione del genere) — solo che essi sono così rari e così discutibili, che non è in potere di ognuno giudicare, come si dice, sul posto, e deve esserci qualche dogma, o comandamento di Dio.

La tolleranza delle opinioni degli altri, indubbiamente, è un'idea molto buona ed utile per ogni società, ma questo è un requisito che è piuttosto difficile da raggiungere pienamente nel mondo dell'antagonismo, così che, nonostante gli sforzi di alcune religioni, c'è nessuna, che è sempre stata tollerante verso gli altri (anche se ci fosse stata una qualche, essa avrebbe persa i suoi seguaci, perché è il popolo che cambia le religioni). Cosa dirà che le religioni sono un fenomeno positivo per quanto riguarda la causa della loro apparizione, o le loro intenzioni, ma allo stesso tempo essi hanno svolto un ruolo estremamente reazionario in tutte le epoche, quando si è arrivato all'effetto o al risultato! Ciò, tuttavia, è inevitabile, e la cosa migliore che una religione può fare è scoprire che “la via per l'inferno è disseminata di buone intenzioni”. Al giorno d'oggi quasi tutte le religioni mirano ad una tolleranza sempre maggiore, ma ciò è dovuto soprattutto al fatto che nei sentimenti religiosi dei cittadini contemporanei si nota un certo declino e la maggiore tolleranza crea la base per la convergenza di vari flussi, precedentemente considerati eretici, in una data religione, ma anche perché nel mondo comunicativo di oggi gli uomini sono costretti a vivere in maggiore concordia e lo richiedono anche alle religioni. Se in questo modo la religione conserva il suo ruolo guida come moralizzatrice della società, ciò non può che essere accolto con favore! In ogni caso, non dobbiamo pensare che la religione abbia raggiunto il suo scopo e quindi scomparirà dalla faccia del mondo, indipendentemente dal capitolo successivo, dove noi denunciamo alcune tesi pseudo-scientifiche o gesuitiche sull'esistenza del Dio cristiano.

 

III. Esistenza di Dio

 

Prove dell'esistenza di Dio non vengono fornite, e qui non possono esserci prove, se abbiamo le idee chiare sulla questione: cos'è questo Dio? Se definiamo Dio come tale Essere (o “sostanza”, se vi piace meglio così), onnipotente e indistruttibile, che esiste ovunque e sempre, che non dipende dal mondo reale, nel quale noi viviamo e le cui leggi raggiungiamo continuamente, e che è anche la causa prima della creazione di questo mondo, noi non possiamo non giungere alla conclusione che la nostra conoscenza di questo Essere dipende esclusivamente dal Suo desiderio di concederci questo piacere. Se Dio vuole stare lontano dagli uomini e lasciarli, dopo averli dotato di libero arbitrio, da soli a raggiungere il significato del bene e del male, allora Lui troverà sempre dei modi per nascondersi così da noi che noi non saremo in grado di scoprire o dimostrare la Sua esistenza, né in modo sperimentale, né in modo razionale. Se Lui, però, decide di mostrarsi a qualcuno, allora questo qualcuno Lo troverà ovunque: nella pietra, nell'albero, nell'animale, nella mosca se voi volete, nell'essere umano, nel suo pensiero, e sarà categoricamente convinto della Sua esistenza, qualunque siano le dichiarazioni degli altri. Per questo motivo la religione cristiana insiste sul fatto che “chi cerca, trova”. Qui tutto sta nel fatto, che Dio non è solo molto più forte, più intelligente, e migliore degli uomini, ma lo è infinitamente, cioè incomparabilmente, di più, e Lui esiste sempre e ovunque. Per poterlo raggiungere o riconoscere la Sua esistenza solo con i propri sforzi uno bisogna essere almeno con le Sue capacità; sì, ma l'uomo non è un Dio, quindi questo è impossibile, o, per dirlo in latino, questo è uno contradictio in adjecto, cioè una contraddizione nella definizione stessa.

Questa non è affatto una tesi nuova, ma è nota da circa 25 secoli e prende il nome di agnosticismo. Anche se noi, in Bulgaria, siamo un po' fuorviati da questa impostazione delle cose, perché la propaganda comunista ha insistito sul fatto che l'agnosticismo è una teoria sull'inconoscibilità del mondo reale, non di Dio. In alcune religioni Dio si identifica con la verità su tutto, o con la verità assoluta, come diciamo adesso, intendendo con ciò l'intera conoscenza dell'Universo, ma questo è solo un altro modo per nominare le leggi naturali, o l'idea sulle cose. In un modo o nell'altro, se noi affermiamo che Dio è realmente un Dio, allora la Sua esistenza, o assenza, non può essere provata da noi in alcun modo, perché noi siamo esseri imperfetti e peccatori, e quando pensiamo di aver scoperto Dio possiamo positivamente deluderci, come anche quando pensiamo che Dio non esiste. Detto in un linguaggio più contemporaneo, Dio è un essere di un'altra dimensione, e noi semplicemente non possiamo vederlo, dove Lui può (se solo lo desidera). Da ciò consegue che l'esistenza di Dio è una questione di gusto, o di fede, e chi vuole può pensare che Lui esista, ma chi non vuole — che non esista. Ma il nostro desiderio non ha alcun effetto sulla Sua esistenza o assenza, perché siamo noi ad aver bisogno di Lui, non Lui di noi! L'esistenza di Dio è solo un'ipotesi, e se ne abbiamo bisogno possiamo accettarla, ma se noi possiamo farne a meno non c'è bisogno di invocarla; le scienze esatte e naturali ne fanno benissimo a meno, dove in ambito sociale essa è spesso necessaria, a causa dell'ingenuità delle masse, e per questo motivo viene usata lì.

Queste riflessioni ci sono state necessarie per sapere come prendere le “prove” dell'esistenza del Dio cristiano elencate di seguito, dove le virgolette sono necessarie, se noi comprendiamo che le prove, comunque, non possono esistere. Questi sono esempi di logica gesuitica, che è un misto di logica e fede (dove la logica fallisce), ma noi non dobbiamo giudicarli particolarmente severamente, perché essi sono destinati alle masse, e la gente, di regola, applica abbastanza spesso simili giudizi imprecisi, al fine di giustificare le proprie opinioni in qualche modo presumibilmente oggettivo. Ecco alcune delle tesi più diffuse sull'esistenza di Dio.

 

1. Dio è la causa principale del mondo in cui noi viviamo. Tutto in questo mondo è creato da qualcuno, perché non può sorgere una conseguenza senza che esista una causa per essa. Non si può costruire una casa da sola, né fabbricare una spada da sola, né nascere un essere umano senza l'atto del concepimento, e così via, così che deve esserci causa anche per ciò che non avviene per nostra volontà — il germogliare dell'albero nella foresta, l'emergere degli animali selvatici, la creazione delle rocce, e dei mari, e dei fiumi, e delle stelle nel cielo, eccetera — e, quindi, essi devono essere creati da qualcuno. Ma nessun uomo può creare un fiore, per esempio, se non ha il suo seme, o creare una stella nel cielo, o fermare il sorgere del Sole, quindi tutto questo è creato da qualche Essere onnipotente, che vive in eterno nel tempo, sa tutto, cosa è stato e cosa accadrà, perché comprende i rapporti di causa-effetto delle cose, che si trova ovunque, dove Lui vuole, e comanda tutto il nostro mondo o tutto l'Universo, perché Lui solo lo ha fatto. Lui non pianta il seme per ogni erba, perché Lui ha detto come questa erba deve piantare il suo seme, oppure come ogni animale deve comportarsi e come propagarsi, per popolare questo bellissimo mondo. Egli ha creato anche l'uomo e lo ha reso simile a Lui, ma non lo ha limitato a fare solo il bene, perché altrimenti l'uomo non avrebbe avuto il libero arbitrio, questa qualità divina, ma lo ha lasciato soffrire in questo mondo per raggiungere la felicità nella vita futura, quando verrà a Lui, allora senza il suo involucro materiale deperibile, ma solo come idea, anima o emanazione del principio divino. Dio è la verità per ogni cosa, perché nulla può sorgere senza l'idea, e l'idea non è materiale, sebbene possa essere implementata in forme materiali. Dio esiste, perché per quanto molto noi sappiamo, noi non possiamo ancora raggiungere la natura divina del mondo, e il mondo esiste, quindi esso è stato creato. Se noi pensiamo che alcune cose accadono semplicemente perché accadono, o casualmente, allora noi lo pensiamo solo perché non riusciamo a cogliere la saggezza divina, ma noi ci illudiamo e erriamo pensandolo. E così via.

Tutte queste considerazioni sono del tutto speculative e possono essere facilmente confutate anche in un modo logico: se Dio ha creato una volta il mondo materiale applicando il Suo libero arbitrio, e se ogni cosa deve avere il suo Creatore, allora chi ha creato il Creatore? In generale, la tesi sull'inizio e sul significato pone inevitabilmente la domanda sull'inizio e sul significato di questo inizio e impone la necessità di una certa gerarchia di dei, che ancora non risponde alle nostre domande! Poiché, del resto, la separazione della materia dall'idea di essa solleva inevitabilmente la questione della priorità di una delle due cose, ma finché essi esistono insieme (come l'uovo e la gallina), allora tale separazione non porta a nessuna parte. L'inizio della Creazione deve essere osservato solo come un punto condizionale per la tracciatura del tempo, non come un vero e proprio inizio, così come anche la ricerca del significato o dello scopo, dove essi non sono obbligati ad esistere, non può scoprirli ma solo inventarli. Comunque sia, su queste questioni vedete anche il saggio “Sulla Creazione”.

 

2. La natura obbedisce alle leggi naturali e, quindi, essi devono essere create da qualcuno. Questa è una modificazione del punto precedente, solo che essa è molto più attuale e logica ed è per questo che noi la trattiamo separatamente. Essa non presuppone l'idea che Dio sia come un bambino cattivo, che ha fatto qualche brutto scherzo (ad esempio, ha legato una scatola di latta alla coda di un gatto) e si è nascosto da qualche parte per divertirsi, ma che Lui sia come un vero artista, che ha creato qualcosa di finito (un quadro, o un meccanismo, o qualcosa di simile) e lo ha lasciato che la gente lo usasse. Questa tesi non limita affatto la ricerca scientifica e la conoscenza del mondo, nel quale per Dio non è necessario interferire dopo l'atto iniziale della creazione. Essa semplicemente ci impone una giustificata con niente relazione tra le leggi naturali e quelle umane, e se queste ultime sono create da qualcuno e scritte su qualcosa, allora anche le leggi naturali devono essere create da qualcuno e scritte in qualche modo nella materia. Ma il problema è lo stesso: quando qualcosa esiste, esso deve essere creato da qualcuno. È vero che non può esistere una causa senza una conseguenza, ma chi ci dà il diritto, in base alla conseguenza, di inventarne anche la causa? E chi può garantirci che la causa sia una ed unica, per poterla scegliere esattamente? L'arbitrarietà del nostro mondo può essere “codificata” in esso (da qualcuno o qualcosa), ma essa può anche essere l'unica soluzione possibile, nel qual caso noi non abbiamo bisogno dell'ipotesi di Dio. E oltre a ciò, l'uso di questa tesi degrada ancora una volta il ruolo di Dio, o contraddice la Sua definizione, perché se Dio ha creato tutte le leggi naturali, allora Egli deve anche obbedire ad esse, ciò che dice che Egli non ha libero arbitrio o è per niente Dio.

 

3. L'intenzionalità del nostro mondo può essere spiegata solo con l'esistenza del suo Creatore. L'erba cresce per essere mangiata da qualche animale (e per saturare l'aria di ossigeno, se vogliamo essere più profondi nella recensione); le foglie degli alberi cadono in inverno per non gelare, e per impedire il congelamento delle radici degli alberi, e per arricchire la terra di sostanze nutritive; la mucca esiste per darci il latte, la scrofa — la carne, la gallina — le uova, e così via; il Sole sorge per riscaldarci, la Luna — per risplendere nella notte, il fiume scorre per bere da esso, i mari esistono perché i pesci vi si riproducano, ecc.; il sesso esiste affinché le persone e gli animali si riproducano; l'uomo è creato per piacere a Dio; e altre cose simili. Niente accade proprio così in natura, ma con uno scopo specifico, e se noi non riusciamo a percepirlo, ciò non significa che tale scopo non esista. Se il mondo non fosse stato creato da Dio esso non sarebbe stato così efficiente. Le scienze non contraddicono l'esistenza di Dio, ma servono soltanto a spiegarci gli scopi divini che Egli si è posto e che altrimenti i deboli esseri umani non sarebbero riusciti a comprendere. Dio ci ha dato la ragione per poterlo concepire, la nozione del bene e del male — per tendere al bene, e il libero arbitrio — per poterci avvicinare a Lui. Anche la mosca esiste per nutrire i ragni e gli uccelli (e, forse, per insegnarci a vivere in modo più igienico), il verme — per allentare e arricchire il terreno, e la morte — per insegnarci a valorizzare di più la vita e poter venire più tardi nel paradiso o nell'inferno, secondo ciò che abbiamo meritato su questo mondo. Ma allora, perché non aggiungere che il naso esiste per metterci sopra gli occhiali, il mignolo — per avere qualcosa da ... infilarci nel naso, e le mani — per poterci pulire il sedere (perché noi non possiamo, hmm, leccarci come i cani e i gatti)? La vita è un risultato di eventi propizi e di un numero illimitato di prove ed errori (vedete di nuovo “Sulla Creazione”), e tutti gli sforzi per attribuirle qualche obiettivo o scopo sono quantomeno comici.

 

4. Dio esiste per insegnarci cosa è bene e cosa è male. Questa è l'argomentazione morale della Sua esistenza, ma anche qui le cose vanno da dietro in avanti, o noi proviamo qualcosa solo perché ci piace così. Quando uno non sa cosa è bene e cosa è male per egli, e l'uomo veramente molto spesso non lo sa, allora deve venire qualche potere onnipotente ad insegnarglielo. Ma se il concetto di bene e di male non esisteva prima che il nostro “caro Dio” ce lo spiegasse, ne consegue che il mondo che Egli ha creato (con il male in esso) non è affatto buono, e neanche lo stesso Dio è un Essere buono. Le favole sul libero arbitrio dell'uomo, per cui Dio ha lasciato il male nel mondo, perché, vedete, se non c'è il male allora non ci sarà nulla tra ciò che si deve scegliere e ci si comporterà sempre bene, sono piuttosto carini in teoria, ma non giustificano affatto le miserie umane e, alla fine, quando Egli è Dio, Egli avrebbe potuto escogitare un modo in cui esistesse il libero arbitrio, e ci fossero anche le cose cattive e mali, ma gli umani avrebbero potuto fare solo cose buone! E da questo, che in questo modo non sarebbe esistito il premio della beatitudine eterna (o la punizione eterna) nell'“altro mondo”, non verrà niente di male, perché allora si sarebbe vissuto in questo mondo come nel paradiso. Sicuramente questa è una tesi infondata. E se poi il bene e il male sono esistiti prima dell'arrivo di Dio e della creazione del nostro mondo, allora Dio non ha dato alcun contributo alla questione. Si scopre che le cose si risolvono facilmente se noi non mescoliamo queste nozioni nel mondo materiale, che è così com'è, e il bene e il male sono relativi, come tutto il resto, o sono prodotti collaterali dell'esistenza della materia. La moralità non ne soffrirà, ma diventerà ciò che essa comunque è — regole per la convivenza pacifica di molti individui. Soltanto che così ci allontaneremo dall'ipotesi di Dio, e lo scopo del compito era confermarla.

 

5. Dio è il Salvatore del genere umano. Nonostante le sventure di questo mondo, Dio è colui che salva le anime immortali degli uomini, e Egli ha preso perfino una particella di Sé, generando così il suo Figlio Cristo in forma tutta umana e con carne umana, per poter sperimentare tutte le sofferenze umane e poi, con la Sua morte, calpestare la morte. Dio ha creato non solo il mondo reale, ma anche il paradiso e l'inferno, e in questo modo ha reso facile per l'essere umano unirsi più pienamente alla Sua essenza divina. Anche lasciando da parte le ipotesi giustificate senza nulla sull'esistenza del nostro Cristo, perché non ci sono prove storiche della Sua reale esistenza, soprattutto testimoni credibili del momento del concepimento o della Sua risurrezione, dopo la conferma della morte fisica da parte del competente consilium dei medici, ma noi non abbiamo ragioni per pensare che “l'altro mondo” sia qualcosa di migliore di questo. L'essere umano è una creatura finita e non è affatto chiaro se una vita eterna (se possibile) sarà qualcosa di buono, o una noia costante, perché la felicità può consistere in gran parte nella stagnazione (per il motivo che ogni periodo di transizione è qualcosa, nel complesso, di negativo — come noi in Bulgaria abbiamo visto con l'esempio della nostra transizione verso la democrazia, che non finisce mai), ma non la stagnazione perenne, senza alcuna possibilità di cambiamento (ad eccezione di quelli del Purgatorio, dopo che ancora una volta arriva la noia infinita). Là dove non ci sono aspettative e speranze di cambiamento, non può esistere spazio per l'espressione del libero arbitrio. In altre parole, per quanto distorciamo le nostre anime, “l'altro mondo” è un eterno esilio! Se Dio fosse veramente buono e onnipotente Egli avrebbe escogitato un modo indolore per distruggere l'anima (o cancellarne la memoria, se Egli non vuole buttare via qualcosa di buono), invece di queste eterne torture (o beatitudine con lo stesso effetto). Quindi: come questo mondo è cattivo, così è anche l'“altro”, e così anche il rapporto tra i due mondi è quasi il peggiore possibile, e questa non è affatto una salvezza, perché due millenni dopo Cristo l'umanità continua ad uccidersi a vicenda come prima, anche su scala significativamente maggiore. Invece di “rovinare l'immagine” di Dio in questo modo è meglio non mescolarlo minimamente alle nostre follie umane.

 

IV. Ateismo

 

Dopo aver constatato che l'agnosticismo è una cosa vera e che l'esistenza di Dio è una questione di gusto, noi non dovremmo trascurare l'altro polo nel culto delle religioni — l'ateismo — tanto più che esso è in relazione con la loro futura evoluzione o “mutazione”. L'ateo insiste che Dio non esiste, ma anche questo non può essere dimostrato, come il contrario, e in questo senso l'ateo è anche un credente! Ciò può sembrare paradossale per la maggior parte delle persone, compresi gli stessi atei, ma questa è la verità pura e semplice. Più di questo, credenti e atei non sono del tutto simmetricamente opposti, dove i veri credenti sono proprio gli atei, perché l'esistenza di Dio, tuttavia, può essere dimostrata, se Egli esiste e decide di farsi vedere, mentre l'assenza di Dio semplicemente non può essere dimostrata (se Egli non esiste)! Questo adesso deve essere chiaro, perché di ogni cosa è molto più facile dimostrare la sua esistenza (se essa è presente almeno in un caso particolare), che la sua assenza (ovunque e sempre), a questo proposito i nostri dicono: “vai e dimostra che tu non sei un cammello”. Nella maggior parte dei casi non rimane altro algoritmo per dimostrare l'assenza se non la cosiddetta ricerca completa, e nel nostro caso questo è impossibile, perché noi dobbiamo “cercare” ogni punto dello spazio e del tempo infinito, e inoltre non avendo idea di come appare questo, cosa cerchiamo!

Proviamo ora a prevedere l'evoluzione futura delle religioni, partendo, ovviamente, da qualche tendenza comune nella loro apparizione cronologica e loro sviluppo. Questa tendenza non è così difficile da notare ed essa è: dal concreto all'astratto! Tutte le religioni primitive hanno raffigurato in qualche modo i loro dei, dove la loro immagine era fissata dogmaticamente e, ovviamente, simile a quella umana o ad alcuni animali. Anche l'Induismo ha dei simili all'uomo, ma alcuni di loro hanno sei arti, e si comincia a parlare di milioni di mondi o universi, che possono emergere dal soffio di un dio ed essere distrutti da un altro, dove il divino ora diventa la verità. Presso i faraoni e gli antichi greci, come anche nella religione ebraica, gli dei sono ancora del tutto umani. Ma nel Cristianesimo appaiono ora tre dei: Padre, Figlio e Spirito Santo, dove il punto non è nel loro numero ma nell'immagine astratta dello Spirito, che viene raffigurato come un piccione non perché gli somiglia, ma perché Egli deve essere raffigurato in qualche modo. Sette secoli dopo Cristo emerge l'Islam, che dice di Dio solo che Egli esiste, ma come appare — nessuno può dirlo, per questo motivo nelle cami-moschee possono esserci ornamenti, e questo soprattutto all'esterno, ma le pareti sono nude, per non distrarre i fedeli con immagini varie. Ai tempi di Maometto non esisteva la fantascienza ed è per questo che egli non chiama Allah un essere della quarta dimensione, ma il significato di questo Dio è tale. L'ateismo, diffuso nel corso del XIX e XX secolo (seppure proveniente dall'antica Grecia), rifiuta interamente l'immagine divina e la sostituisce con la “natura” impersonale (o sostanza — di Spinoza). È vero che presso gli atei Dio scompare completamente, così come anche i santi e i miracoli, ma rimane una Sua quintessenza, l'idea di Dio, sotto forma di leggi naturali, cioè resta la più importante, ciò che non può essere distrutto.

Se ancora ci si chiede perché l'Islam faccia progressi significativi, soprattutto nel XX secolo, allora semplicemente non ci si rende conto di quanto il rapido sviluppo delle scienze renda insostenibili i severi dogmi cristiani e le esatte immagini di Dio. La gente è ancora come i bambini e ha bisogno delle favole, ma ora vuole qualcosa di più moderno, qualche racconto di fantascienza, cioè qualche religione, che lascia più spazio alla propria fantasia e al proprio pensiero. Anche la religione cristiana cambia, per quanto ci riesce, divergendo in eresie molto diverse a partire circa dal XV secolo, fino a raggiungere la situazione contemporanea, dove negli USA nel XX secolo sorgono anche alcune cosiddette chiese autocefale, cioè chiese create da una sola persona, che ne è il capo (come anche la sua “coda”, perché non si può dire che essi abbiano molti seguaci). Si scopre che le icone non sono obbligatorie per i credenti, ma anche le preghiere quotidiane non sono qualcosa di irrevocabile. L'importante è che la persona si renda conto che essa non è sola su questo pianeta e che la vita su di esso non finisce con la sua stessa vita!

Dal concreto all'astratto è l'evoluzione naturale delle religioni, ma questa è anche la via attraverso la quale passano molte scienze, perché questa è la via della nostra conoscenza del mondo. Il momento finale in questo senso per ora è l'ateismo, ma esso non è sufficientemente sviluppato e non ha molti dei rituali propri di ogni religione che si rispetti, e questo è il motivo per cui esso non è accettato dalle masse come tale, ma il futuro è illimitato (a meno che noi soli non fissiamo dei limiti), quindi noi non dovremmo rifiutarlo frettolosamente come credenza.

E nel frattempo una nuova religione è emersa nel 20simo secolo e mentre la gente discute se questa sia una religione, se essa sia buona, ecc., questa è riuscita a farsi strada in tutto il mondo. Si tratta del comunismo, o meglio del leninismo, che ha tutte le caratteristiche di una religione atea. Essa nacque dallo “spettro del comunismo” di Marx, ma cominciò ad esistere come religione nel giovane Stato sovietico ai tempi di Lenin, attraversò periodi di persecuzioni e procedimenti giudiziari, creò i propri santi, riuscì ad imporsi come religione ufficiale su un vasto territorio del globo, e ora gira nel “terzo” mondo cercando il terreno adatto per il suo prosperare. Esso non ha dei, ma ha leggi naturali, che non sono meno implacabili di quelle degli dei; non ha prodigi, ma ha i prodigi delle scienze, che non sono meno stupefacenti di quelli degli dei; non ha preghiere, ma ha desideri, aspirazioni e ideali, che non hanno un impatto più debole sulle masse. È vero che per quanto riguarda i rituali c'è molto a desiderare, ma la sua esistenza attiva dura solo circa 80 anni, e cosa sono 80 anni per una religione? Ora esso non è una religione dominante nei paesi ex comunisti, ma questo non significa che esso non governi ancora “i cuori e le menti” delle persone (stereotipo logoro, ma in generale vero), perché il crollo del sistema comunista fu semplicemente un segnale per la sua separazione dallo Stato, come avvenne nel Rinascimento con la religione cristiana in tutto il mondo occidentale. Esso ha moralità, ha utopismo, ha l'idea del peccato, ha l'aldilà (“il luminoso futuro comunista”), ha un obiettivo — la felicità delle persone, causa stagnazione (come ogni altra religione), e la stagnazione è particolarmente importante quando qualche civilizzazione (come quella contemporanea) se ne va, esso è sufficientemente tollerante verso le altre (cioè genuine) religioni, predica uno stile di vita ascetico in questo mondo, ed è un vero rifugio per i paesi e le nazioni deboli o meno sviluppati. Esso aveva anche i propri organi di censura e la propria inquisizione, come ogni altra religione dominante.

Se e fino a che punto esso esisterà — lo dirà il futuro. Ma molte cose in esso possono rimanere, anche la stella a cinque raggi, perché questo è un simbolo diffuso e antico ed esiste sulla bandiera americana (anche se gli americani scappano dal comunismo “come il diavolo dall'incenso”, ma questo è perché essi sono un paese ricco e lì nessuno vuole essere povero); inoltre il Pentagono è, in effetti, una “stella pentagonale con i raggi ritagliati” (o viceversa — la stella a cinque raggi è un pentagono sovrastrutturato). Il colore rosso non è niente di peggio del blu (questo è un'allusione alla moderna dei primi anni della democrazia bulgara Unione delle Forze Democratiche, UDF in inglese), per esempio, e riguardo alle Case dei partiti — nessuno ha detto che essi devono essere costruite solo in stile “stalinista” (o “gotico comunista”) e possono essere modellate anche come stazioni spaziali, se si desidera. Il futuro dell'umanità è un ideale molto più tangibile dell'aldilà, perché ciascuno, comunque, cerca di lasciare qualcosa dietro di sé (almeno qualche figlio), e l'astrazione totale del dio-natura non rischia mai di cadere fuori moda a causa del cambiamento dei gusti. Il bene più prezioso dell'uomo è il suo lavoro e questa è verità incontestabile, e la felicità più alta (per ogni individuo sufficientemente ragionevole, che può “superare” il suo involucro mortale) è la felicità degli altri, perché questa è la felicità reciproca o condivisa, ed è qualcosa che gli può sopravvivere, lasciando qualche traccia tra le altre persone. La contraddizione tra la fede, che ogni religione richiede, e la ragione, che la stessa natura umana richiede, non è così difficilmente superabile (come, ad esempio, la contraddizione tra i sessi, o le generazioni), perché la fede può essere stipulata per via della ragione, e la ragione di esistere basata sulla fede (in essa). Più di questo, proprio la simbiosi tra fede e ragione nella religione atea comunista, o in alcune delle sue discendenti, compresa la contraddizione in sé, può rendere questa religione viva e duratura. E il fatto che esso non stabilisca alcuna differenza razziale, finanziaria, sessuale, intellettuale, e altra (tranne, forse, la necessità per i fedeli di non essere significativamente più ricchi degli altri, ma questo è facilmente superabile), lo rende del tutto accessibile a ogni essere umano debole, ma più o meno razionale.

 

Così che la religione è l'oppio per il popolo, ma finché l'ultimo non dimostrerà di non aver bisogno di questo oppio, esso occuperà un posto centrale nella vita sociale del popolo. Ma a giudicare dall'onnivorietà e dall'ingenuità con cui le masse divorano la pubblicità che viene loro proposta, ci sono tutte le ragioni per supporre che essi avranno sempre bisogno della religione. La religione è dannosa quando due religioni diverse entrano in collisione grave e iniziano a combattere la guerra (perché, ad esempio, un gruppo di persone rompeva l'uovo dall'estremità affilata e un altro — da quella smussata), ma per il resto una certa misura di delusione riguardo alla vita è di vitale importanza per le persone per poterla vivere, e, in questo senso, ogni religione fa un buon lavoro, perché non si rifiuterà mai una delusione, se ci piace. Fino a quando una data società è divisa in strutture contraddittorie con interessi diversi (e questo avverrà sempre, perché gli esseri umani sono creati diversi nei loro gusti, interessi, e capacità, e proprio questa varietà è la cosa più preziosa in questo mondo), fino ad allora essa avrà bisogno di qualcosa che unisca e leghi i suoi membri. Mentre uno ha bisogno di sostegno e di uno scopo nella vita, egli avrà bisogno anche di una certa religione. Ma egli avrà sempre tale bisogno perché non è un Dio.

 

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FINE DI QUESTA PARTE

 


 

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